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Austerità ed economia tra Europa e America

Scritto il alle 09:18 da Agata Marino

C’e’ la mancanza di politiche redistributive serie, in gran partedel mondo occidentale e quindi In molti paesi europei, abbiamo assistito a una concentrazione della ricchezza; una ridistribuzione minore che ha cancellato e penalizzato intere categorie sociali, di conseguenza i consumi sono diminuiti.

Finchè non si penserà alle politiche redistributive come necessarie per lo sviluppo e non come a un qualcosa che frena lo sviluppo (Ex ) difficilmente, senza un aumento dei salari medi e dei consumi, ci sarà nuova crescita; penso che bisognerebbe ragionare con la logica che ha portato all’attuazione del piano Marshal!

Non a caso aziende come la Volsfaghen hanno deciso di redistribuire parte degli utili ai lavoratori!

Stampare moneta significa indebolire il potere di acquisto dei più poveri come anche fare nuovo debito.

Per ridurre il debito bisogna semplicemente spostare il peso con cui si spende e si preleva- Tassare di più i patrimoni e non spendere improduttivamente e con i soldi recuperati detassare i meno abbienti per rilanciare i consumi e l’economia

Se non si fa è per egoismo e interessi di parte: lo ha detto persino Warrent Buffet!

Non accenna a placarsi il dibattito tra chi sostiene la necessità di stimolare l’economia e chi invece preferisce la via dell’.

POLITICHE STRAORDINARIE E RITORNO ALLA NORMALITÀsource

L’80 per cento degli economisti intervistati dalla Booth School of Business dell’università di Chicago concordano sul fatto che il pacchetto di stimoli approvato dal Congresso americano nel 2009 ha abbassato il tasso di disoccupazione. Ma ciò significa che un altro 20 per cento è scettico o incerto, senza contare un buon numero di economisti di alto profilo – e conservatori – che non hanno risposto.
Per coloro che sono convinti che gli stimoli siano stati efficaci, si profila poi l’inquietante problema che queste misure vengono ora riconsiderate, a causa dei timori sulla sostenibilità del debito: un fatto che rischia di ostacolare la crescita molto prima che la disoccupazione sia tornata a livelli normalità. In Europa, dove i timori sulla sostenibilità fiscale sono ancora più forti, l’idea che il consolidamento fiscale possa essere espansivo ha chiaramente perso forza, sebbene tutto ciò non abbia ancora portato a un serio ripensamento, e tantomeno ad azioni da parte dei politici.
Le banche centrali, per parte loro, hanno intrapreso una serie di passi straordinari per sostenere la ripresa, come di recente la “Operation Twist” negli Stati Uniti e le due operazioni di rifinanziamento a lungo termine della Bce, mentre la Banca del Giappone ha rinnovato il suo impegno a favore del quantitative easing. Ma quelle stesse politiche sono criticate perché spingono verso l’alto i prezzi delle materie prime, le valute dei mercati emergenti e l’inflazione e perché aumentano l’assunzione di rischio da parte delle banche internazionali. E tutto ciò si traduce in pressioni affinché le banche centrali abbandonino le loro politiche non convenzionali e inizino a normalizzare il livello dei tassi di interesse, il prima possibile.

CONFRONTO FRA CRISI

Il consolidamento fiscale e la normalizzazione monetaria affrontano problemi di sostenibilità fiscale e di azzardo morale, ma allo stesso tempo peggiorano il quadro della crescita nel breve periodo. Se i politici debbano seguire questa strada, e se sì fino a che punto, dovrebbe dipendere dalla situazione economica.
Fin dall’inizio della crisi abbiamo sostenuto che il dibattito doveva fondarsi su dati relativi dell’andamento dell’economia e che è importante considerare non già le economie nazionali prese singolarmente, ma le tendenze globali. Le crisi e le riprese, in quanto tali, sono state e sono globali, perché le economie sono interdipendenti e le politiche hanno ripercussioni internazionali.
La figura 1 aggiorna il nostro precedente confronto fra la produzione industriale globale dopo il picco dell’aprile 2008 e la produzione industriale globale durante la grande depressione. (1)
La sorprendente divergenza delle due serie a un anno dall’inizio delle due crisi è ben nota, ma il nuovo sorprendente sviluppo è che ora la crescita del prodotto industrialeglobale appare in fase di rallentamento. La rilevazione del mese più recente per cui abbiamo dati – dicembre 2011 – è promettente, ma arriva dopo alcuni mesi nei quali la serie è rimasta sostanzialmente stagnante. E mentre dicembre ha visto una crescita sostenuta in un piccolo gruppo di paesi, per la precisione Giappone e paesi asiatici emergenti, altrove, e in particolare nell’Eurozona, la produzione industriale si è ridotta.

Figura 1. La produzione industriale dopo le due crisi

Anche se guardiamo al commercio globale (figura 2), il quadro è confuso. Ciò che è ben noto è che se è vero che il commercio globale è caduto più rapidamente nella crisi recente rispetto alla grande depressione, è altrettanto vero che anche la ripresa è stata più rapida. Ma ora il commercio fluttua senza una direzione precisa, a livelli appena superiori a quelli dell’aprile 2008.

Figura 2. Volume del commercio globale dopo le due crisi

E mentre si sprecano i commenti sul fatto che le politiche accomodanti delle banche centrali hanno alimentato un boom dei mercati azionari, specialmente negli Stati Uniti, vale la pena di osservare che i mercati azionari mondiali restano considerevolmente al di sotto dei livelli pre-crisi (figura 3).

Figura 3. Mercati azionari mondiali dopo le due crisi

Tutto ciò suggerisce che un’ulteriore riduzione nelle politiche di supporto all’economia avrebbe in questo momento più costi che benefici.
Come avrebbe detto Sant’Agostino se fosse stato il direttore del Fondo monetario internazionale, c’è sicuramente la necessità di un consolidamento fiscale aggiuntivo e di una normalizzazione della politica monetaria, ma non è questo il momento.

(1)Eichengreen, B and K O’Rourke, A tale of two depressions: What do the new data tell us? February 2010 update, VoxEU.org, 8 March 2010.

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