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CRISI E PARADOSSI: Monti e Van Rompuy propongono un vertice per contrastare l’euroscetticismo
Monti e Van Rompuy propongono un vertice per contrastare l’euroscetticismo. Un paradosso evidente: due politici non eletti che credono di poter combattere idee sempre più popolari con l’ennesima riunione elitaria source
Il premier italiano Mario Monti e il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy hanno lanciato l’8 settembre l’idea di un vertice straordinario a Roma. In questa occasione si parlerà del futuro dell’idea europea e si rifletterà sui mezzi per combattere il populismo e l’euroscetticismo.
Una questione molto importante nel momento in cui i partiti populisti di ogni genere, non contenti di ottenere sempre più potere, hanno una crescente capacità di influenzare l’opinione pubblica. Il loro cavallo di battaglia è il no all’integrazione europea in nome del popolo e della sua sovranità. Ma questa iniziativa proviene da due dirigenti con una scarsa legittimità democratica e potrebbe rivelarsi controproducente se dovesse mettere sullo stesso piano i diversi populismi e la critica indispensabile degli attuali metodi dell’Ue.
Se la questione non fosse così importante, il paradosso potrebbe far sorridere: i due soli leader che fanno parte del Consiglio senza aver dovuto affrontare il verdetto delle urne propongono un vertice per contrastare l’euroscetticismo che ha conquistato l’opinione pubblica. Una proposta che arriva dopo la loro partecipazione al Forum Ambrosetti, incontro che riunisce ogni anno i più importanti politici e uomini d’affari italiani e internazionali in un lussuoso albergo sulle rive del lago di Como. Un evento che, sull’esempio di Davos, riunisce le élite politiche ed economiche per parlare degli affari del mondo lontano dai rompiscatole delle classi popolari.
E qual è la proposta di Monti e di Van Rompuy: organizzare un altro vertice straordinario! Voler proporre l’ennesimo vertice per illudere i cittadini nel momento in cui l’Europa soffre di “verticite” acuta ed è stanca di riunioni ai più alti livelli, la dice lunga sull’abisso che separa questi dirigenti non eletti da gran parte dell’opinione pubblica.
Van Rompuy e Monti rappresentano due varianti dell’Europa tecnocratica che molti cittadini, non solo populisti, vogliono lasciarsi alle spalle. Van Rompuy è stato nominato a sorpresa durante una cena informale dei presidenti e dei capi di governo che cercavano un nome senza particolari problemi per un posto che non offre alcuna ruolo di rilievo nelle decisioni politiche interne, e ancora meno un rapporto diretto con i cittadini. Van Rompuy concentra tutte le contraddizioni di una struttura istituzionale complicata, creata dal Trattato di Lisbona per rispondere alla volontà degli stati di eliminare qualunque figura carismatica che avrebbe potuto far loro da contrappeso.
Monti incarna un nuovo tipo di potere tecnocratico, che spinge al limite i meccanismi politici degli stati membri destinati a sostituire dei politici eletti quando questi non sono in grado di assicurare la credibilità del governo per fare riforme e tagliare le spese nei tempi decisi dai centri di decisione europei – Bruxelles, Francoforte (sede della Banca centrale europea) e Berlino.
Monnet addio
La crisi della moneta unica rimette in discussione il metodo Monnet, che risale a 60 anni fa e consisteva in un’integrazione graduale e senza particolare rumore, attraverso una politica di piccoli passi, fino a rendere inevitabile la cessione della sovranità. Ma al di là del metodo in ballo c’è la legittimità di alcuni dirigenti che prendono decisioni di un’importanza capitale per i cittadini degli stati membri senza sottomettersi al suffragio universale. Monti e Van Rompuy, nati negli anni quaranta, non incarnano il futuro e sono gli ultimi rappresentanti di un gruppo che ha voluto governare per il bene degli europei in nome della pace, senza rendersi conto della necessità di rafforzare le basi democratiche del progetto.
Si deve comunque ammettere che i due presidenti hanno ragione almeno sul contenuto: è importante parlare di politica e difendere il progetto di integrazione non solo contro gli attacchi dei mercati, ma anche contro la disaffezione dei cittadini.
Ma come colmare il vuoto di legittimità che spiana la strada al populismo?
La loro iniziativa può rivelarsi pericolosa se si limiterà a combattere delle posizioni politiche perfettamente democratiche, mentre loro stessi hanno una legittimità fragile e indiretta.
Lo scetticismo, che era finora il nemico principale dei sostenitori di un’Europa unita, si rivela essere una componente importante del dibattito europeo: se gli fosse stato accordato uno spazio maggiore nei dibattiti fondamentali degli ultimi venti anni si sarebbero potuti correggere alcuni errori di concezione del progetto di integrazione, risparmiandoci una parte dei problemi attuali.
Invece di criticare i populisti e gli euroscettici, i responsabili dell’Ue dovrebbero sforzarsi di far tacere le critiche migliorando la qualità democratica del sistema. Sul lungo periodo sarebbe triste se i democratici ci dovessero obbligare a scegliere fra populisti eletti e tecnocrati europeisti.