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Mercati finanziari e misure del rischio: VaR, VIX e il Cigno Nero

Scritto il alle 14:41 da vulcan900@finanzaonline

Facciamo una pausa nell’analisi degli strumenti e passiamo a qualcosa di diverso: oggi parleremo di misure del rischio.

Misurare il rischio perche’ e’ importante Misurare il rischio fa parte della naturale tendenza degli uomini a cercare di controllare il proprio futuro.

Cosi come i contadini cercavano di capire l’evolversi del tempo per proteggere i loro raccolti e i marinai la possibilita’ di tempeste prima di affrontare un viaggio, allo stesso modo la finanza ha cercato di misurare il rischio di un portafoglio.In particolare le banche di investimento (le varie Goldman Sachs, JPM Morgan etc.) devono tenere sotto controllo i rischi che i loro trader prendono per evitare casi come quello del fondo Amaranth nel 2006, dove il gestore prese rischi spropositati sul future del gas naturale e porto’ al collasso il fondo.I casi di Jerome Kerviel ( Jerome Kerviel che ha quasi portato alla rovina Societe Generale) o quello di Nick Leeson (Nick Leeson che ha portato al fallimento la Barings Bank, una delle piu’ antiche banche inglesi, utilizzata anche dalla regina) sono diversi perche’ in qui casi si e’ trattato di frodi, dove le operazioni dei due trader erano nascoste e sfuggivano ai normali controlli del rischio finanziario, semmai evidenziano un altro tipo di rischio che le investment bank devono affrontare.

Misurare il rischio il VaR

Esistono diverse misure (e anche diversi concetti) di rischio, ad esempio per le obbligazioni si ricorre spesso alla duration (EDUCATIONAL: Duration) come misura del rischio.

Il principale metro di rischio per il mercato riguarda la volatilita’, cioe’ di quanto si muove un’investimento; ma, ovviamente un investimento si puo’ muovere in due direzioni, ma non siamo  preoccupati dei guadagni ma solo dalle perdite.

Per le azioni, per le posizioni in cambio e in generale per i portafogli complessi e’ necessario individuare una misura sintetica che con un singolo numero sia rappresentativa del rischio.

Innanzitutto il “rischio” per un investitore e’ quello di perdere soldi, quindi la domanda a cui deve rispondere la misura del rischio e’ “quanto posso perdere nel caso peggiore?” o “quanto posso perdere in mese dove tutto va storto?”.

Il Sacro Graal della finanza si chiara VaR, acronimo di Value at Risk.

Prima cercheremo di capire come funziona (cercando di semplificare il piu’ possibile) e nel farlo vedremo anche che difetti ha tale misura.Il Var ha tre componenti: un intervallo di tempo; un livello di confidenza e un ammontare della perdita (in percentuale o in Euro).

Esistono tre metodi per calcolare il VaR, basato sui dati storici, con il metodo di varianza/covarianza e tramite simulazioni Montecarlo.

Metodo Storico

Guardiamo un esempio di metodo storico applicato ad un singolo indice: nel grafico sono riportati quasi 1400 rendimenti giornalieri dell’ETF QQQ (che replica l’indice Nasdaq) dal marzo 1999 al 2005, abbiamo che in piu’ di 250 giorni il rendimento e’ stato tra 0 e 1%, all’estrema destra c’e’ un valore di 13% che rappresenta il singolo giorno (nel gennaio 2000) in cui l’indice e’ salito del 12.4%!.Immagine

A sinistra, in rosso, sono evidenziati i risultai del 5% di peggiori ritorni, che sono compresi tra il -4% e il -8%.Poiche’ questo 5% rappresenta i risultati peggiori si puo’ dire che la perdita giornaliera del Nasdaq non superera’ il 4% con una confidenza del 95%. Ovviamente si puo’ ottenere una confidenza maggiore, basta spostarsi a sinistra nel grafico e potremo dire con una confidenza del 99% che la perdita’ non superera’ il 7%.

Metodo Varianza/Covarianza

Questo metodo e’ simile a quello storico, con la differenza che si assume che i rendimenti siano normalmente distribuiti (secondo  l’accezione statistica del termine).Qui il discorso potrebbe farsi molto complesso e ricco di formule, ma esulerebbe lo scopo dell’articolo. Una curva di distribuzione “normale” e quella disegnata in blu nel grafico di prima.ImmagineSi chiama “normale” per la tipica forma a campana e con distribuzione simmetrica dei risultati.L’utilizzo della curva permette di introdurre un altro concetto statistico spesso usato in finanza, quello di standard deviation  (o scarto quadratico medio); senza entrare nei dettagli diciamo che la standard deviation determina l’ampiezza della curva (quanto e’ “cicciona”) e quindi la dispersione dei rendimenti.L’intervallo di confidenza si puo’ esprimere anche in standard deviation e rappresenta quanta parte dell’area della curva copriamo, esattamente come spiegato nel caso dei risultati storici.Nell’immagine ogni area colorata rappresenta 1 standard deviation, per avere una confidenza del 95% servono 2 standard deviation per arrivare al 99% ne servono 3.

Metodo Montecarlo

Mentre i primi due metodi si basano su un campione di dati storici il metodo Montecarlo fa ricorso ad un numero di simulazioni casuali generate da un modello matematico, con risultati anche significativamente diversi da quelli degli altri due metodi.

Una piccola nota tecnica: chi usa il VaR non ha necessariamente lo stesso orizzonte temporale (le banche usano il VaR giornaliero, molti fondi pensione quello mensile); come si passa da uno all’altro?

Partendo dal presupposto che la standard deviation cresce di una misura pari alla radice del tempo se abbiamo un VaR giornaliero di 3.50% (a puro titolo di esempio) e volessimo calcolare il VaR mensile (20 giorni lavorativi) dovremmo moltiplicare 2.64% non per 20 bensi’ per la radice quadrata di 20 e avremmo ( arrotondando) 13.40%.

Misurare il rischio VIX

Abbiamo detto prima che la volatilita’ sta alla base delle misure di rischio; la volatilita’ e’ anche una determinante fondamentale nel determinare il prezzo delle opzioni. Siccome il mondo della finanza e’ sempre pronto a soddisfare le domande degli investitori e c’era richiesta per un indicatore di rischio che fosse negoziabile, eco che la risposta del mercato e’ stata la creazione del VIX nel 1993, diventato un indice negoziabile nel 1994.

ImmagineIl VIX misura la volatilita’ implicita nelle opzioni sull’indice S&P con scadenza nel prossimo mese e viene spesso riferito come indice della paura.

La ragione di cio’ sta nel fatto che i movimenti al ribasso del mercato tendono ad essere piu’ bruschi e veloci rispetta a quelli al rialzo, risultando cosi’ in una volatilita’ maggiore; se le attese sono per una volatilita’ alta se ne deduce che il mercato si sta aspettando un calo delle quotazioni. In realta’ non e’ esattamente cosi’ perche’ speso la volatilita’ si alza contemporaneamente ai cali del mercato (e’ successo col terremoto in Giappone e la crisi libica), salvo rientrare velocemente. Nel grafico si vede l’evoluzione del VIX dall’estate 2008 (prima del fallimento Lehman) dove saltano all’occhio sia i picchi di Ottobre e Dicembre 2008, che gli alti livelli mantenuti fino a meta 2009,  fino a raggiungere la calma piatta degli ultimi mesi, simile peraltro agli anni precedenti il 2008.Il grafico del VIX si puo’ trovare qui: Grafico VIX

ImmagineUna delle critiche del VIX e’ che il mercato tende a sottostimare i rischi ed a reagire in ritardo; infatti esistono anche indicatori alternativi, come ad esempio l’”indicatore di paura” elaborato dal Credit Suisse che misura il rapporto tra Put OTM e Call OTM (cioe’ tra opzioni con prezzo di esercizio lontano dai valori correnti) il grafico si puo’ trovare qui .I risultati sono ben diversi dal VIX ed in questo caso si puo’ notare una maggiore preoccupazione del mercato per improvvisi cali.

Alcuni commentatori notano che l VIX ai minimi riflette il fatto che S&P sia a dei massimi relativi e stia solo a significare che l’indice e’ troppo alto, ma questo non impedisce che possa continuare a protrarsi una situazione simile per molto tempo.

Misurare il rischio Il Cigno Nero

Veniamo infine a quello che probabilmente ha attirato la vostra attenzione sul post.

Il “cigno nero” e’ diventato un sinonimo di un evento imprevedibile e dalle conseguenze rilevanti, quale il crash del mercato immobiliare USA e il fallimento di Lehman Brothers con la crisi finanziaria che ne e’ seguita.

L’espressione e’ stata resa popolare da Nassim Taleb, che riporta l’episodio degli esploratori europei colti di sorpresa nel trovare un cigno nero in Australia quando l’opinione comune era che i cigni fossero solo bianchi.

Nel suo libro “Giocati dal caso” (di cui consiglio la lettura, estremamente scorrevole) riporta una serie di ragionamenti ed aneddoti che smontano le certezze di chi lavora in finanza, tra queste l’utilizzo del VaR.

Le critiche principali che vengono fatte al VaR sono che il campione storico che viene utilizzato dalle principali banche (di solito 3 anni rolling) non e’ sufficiente, e poi che se anche si considerasse l’intera storia della serie storica non sarebbe sufficiente a predire un nuovo evento che non si e’ mai realizzato nel passato.

ImmagineLegato al discorso del cigno nero e’ quello che gli statistici chiamano “fat tail” (cioe’ la coda ingrossata): con questo termine si indica una distribuzione dei risultati che non e piu’ “normale” me che, come nella figura riportata, presenta probabilita’ maggiori di eventi catastrofici rispetto a quello che la teoria prevederebbe.

La conclusione di Taleb e’ che “misurare” il rischio e’ poco produttivo e porta in realta’ ad errori di valutazione, piu’ che misurare il rischio dobbiamo imparare a riconoscere che c’e’ del rischio e c’e’ anche del rischio imprevisto.Riguardo al rischio noto e’ facile prendere contromisure, costruendo un portafoglio diversificato etc. etc. ma quando appare un rischio ignoto questa potrebbe portare ad una perdita permanente di capitale. Misurare il rischio ConclusioniL’uomo ha sempre cercato di misurare e predire il rischio, con risultati alterni, il mondo della finanza non fa eccezioni e la volatilita’ sembra essere il punto di partenza di ogni misura.Oppure bisogna riconoscere che il rischio non e’ prevedibile ma e’ comunque presente e quindi va considerato nelle nostre scelte (di investimento e di vita).

Se volete sapere cosa tratterò qui su tradingnostop.finanza… e chi sono… ecco il mio profilo QUI

2 commenti Commenta
sturmer
Scritto il 4 Febbraio 2012 at 15:11

Ottimo!!!!!

Grazie!!!

gremlin
Scritto il 4 Febbraio 2012 at 19:23

bel pezzo didattico, come quelli che hai già scritto

colgo questo: “il rischio non e’ prevedibile ma e’ comunque presente” e mi permetto di far notare quella che è sicuramente una imprecisione lessicale e non concettuale

il rischio è SEMPRE presente ed è l’EVENTO AVVERSO che non è prevedibile nella sua dimensione spazio/tempo, dove per spazio intendo la sua entità, sia che si tratti di un prezzo o di una catastrofe

quindi chi opera con strumenti finanziari dovrebbe sapere che:
– ogni momento è buono per il verificarsi dell’evento avverso (rischio eterno)
– la stima delle probabilità che si verifichi l’evento avverso è attività utile ma pur sempre confinata all’esercizio accademico
– è fondamentale conoscere le tecniche di gestione del rischio, sia in ottica di prevenzione che di compensazione delle perdite

quindi usiamo tutti i VAR che vogliamo ma poi se non sappiamo metterci una pezza non si fa una gran bella figura
i gestori quelli bravi usano l’hedging dinamico ma di fondi o società andate in rovina per le tecniche di copertura improprie sono parecchie
per l’investitore medio sarebbe sufficiente inculcargli il concetto di stoploss e magari anche di reverse
per il trader privato che gli stop già li conosce, si potrebbe anche tentare di fargli conoscere le opzioni

chi utilizza strumenti a rischio senza avere un piano operativo di controllo del rischio rischia grosso, sempre

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