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Pensioni 2013: riforma Fornero mette a rischio i contributi silenti ma solo quelli dei cittadini, sono esclusi parlamentari, ma anche i consiglieri regionali, possono riprendersi quanto versato.
Tutto tace e poche notizie su questo argomento, tutti presi da MPS e oggi anche da Saipem che sta perdendo quasi il 40% teorico, dopo il downgrade dagli analistidi mezzo mondo
Ma torniamo ai casini sulla riforma delle pensioni: in questo momento, dal Governo stanno discutendo la deroga agli anti ’92 con 15 anni di contributi, come stabilito prima dell’ultima riforma Fornero.
E’ importante che il governo, questo governo, deve dire all’Inps di cancellare la circolare (quella di marzo, ndr.), mantenendo la salvaguardia dei 15 anni versati prima del ’92″.
Ma, come ricorda Enrico Marro sul Corriere della Sera, “pare che la Ragioneria generale dello Stato sia contraria”
Insomma le cavolate della professoressa Fornero continuano e danno ancora più lustro a questo fantastico governo tecnico.
Questi sono quelli che dicono di averci salvato dalla rovina, ecco uno dei risultati tutto Montiano la riforma delle pensioni.
Dei pagliacci nelle mani di burocrati iperpagati colpevoli quanto loro di quanto sta accadendo.
Il governo Monti ha fatto molto nell’anno passato e soprattutto la bravissima Elsa Forneroha fatto una riforma pensionistica degna di nota, infatti ecco una delle tante note:
La questione dei contributi silenti non nasce oggi. Ma la riforma Fornero l’ha resa, se possibile, ancora più ingiusta.
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Dalla pancia dell’Inps spunta la bomba ad orologeria dei contributi silenti.
Che, secondo il direttore generale dell’Inps Mauro Nori, sono stati versati da «diversi milioni» di lavoratori. source
Tanto che in caso di obbligo di restituzione l’Inps rischierebbe il default.
Il numero preciso Nori non ha voluto farlo, ma la cifra in gioco, secondo calcoli fatti da ItaliaOggi Sette, a valori attualizzati, supera i 10 miliardi di euro..
I contributi silenti sono quelli versati da lavoratori in misura non sufficiente a
garantire il diritto alla pensione. Per esempio, la riforma delle pensioni del 1993 concedeva a chi avesse versato almeno 15 anni di contributi entro il 1992 o a chi entro la stessa data avesse iniziato a versarli, di mantenere il requisito dei 15 anni di contribuzione.
Molti lavoratori che ricadevano in quest’ipotesi stavano ora aspettando di spegnere le sessanta candeline per poter andare in pensione. E invece non lo potranno fare più; la riforma Fornero ne richiede 20, ben cinque in più, parificando i conti con il resto dei lavoratori.
A questo punto rimangono solo due alternative: continuare a versare contributi per altri cinque anni oppure perdere i soldi versati. In più la circolare Inps del marzo scorso, con un’interpretazione della norma che sembra essere più realista del re, impone anche a chi aveva maturato i 15 anni di versamenti di arrivare a 20 anni di contribuzione per avere diritto alla pensione.
Rispondendo a una interpellanza parlamentare il viceministro Michel Martone è stato costretto a riconoscere che si sia trattato di una forzatura interpretativa. Ma tant’è: l’Istituto di previdenza ha finora mantenuto la posizione.
Questo non fa che allargare una platea già assai vasta.
Composta soprattutto da donne, ex lavoratori autonomi, stagionali agricoli pagati con i vaucher, professionisti con una vita lavorativa irregolare.
Ora le dichiarazioni di No riaprono uno spiraglio su una realtà che evidentemente è più drammatica di quello che finora si è voluto far credere.
In pratica un furto legalizzato che a questo punto risulta assai difficile regolarizzare se è vero, come dice il direttore generale dell’Inps, che la restituzione ai lavoratori («diversi milioni») di quanto da loro inutilmente versato, manderebbe in dissesto l’Istituto di previdenza.
Comunque l’Inps non restituirà nulla tranquilli quindi non fallirà… almeno al cittadino BASE quello comune, la legge glielo consente, e si tiene tutto.
C’è però una categoria esentata dalla norma, i politici.
I parlamentari, ma anche i consiglieri regionali, possono riprendersi quanto versato. È successo poco tempo fa alla Regione Lombardia: undici consiglieri uscenti, fra i quali Renzo Bossi, hanno chiesto la restituzione dei contributi versati (55mila euro per Bossi jr., Massimo Buscemi 358mila euro, Monica Rizzi 200mila euro, solo per fare tre esempi).
Per loro i contributi sono tutt’altro che «silenti». Parlano da soli.