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Sapete quanto risparmieremo su IMU? ecco i conti e le prese per i fondelli del governo

Scritto il alle 11:50 da Agata Marino

Ho fatto i conteggi della mia IMU.

presa da una citazione di Paolo CardenàDopo 3 mesi che si parla a reti unificate della sospensione IMU sulla prima casa, grazie al provvedimento, risparmierò 18 euro: 9 a giugno e 9 a dicembre (forse). Tutto risparmio che andrà in consumi e farà rimbalzare vigorosamente il PIL, secondo loro.”

Ci prendono per i fondelli con l’imu poi ieri il PDL, per  mantenere compatto il governo di larghe intese, hanno rinnegato uno dei loro cavalli di battaglia, l’abolizione dell’Imu sulla prima casa… fantastico e ridicoli! TUTTI.

Ci chiedono fideiussioni per recuperare IVA che lo stato ci deve ridare e dovrebbe farlo lui a noi, ci massacrano con tasse al limite di un esproprio, perdono tempo sulla legge elettorale e la burocrazia funziona solo per metterci i bastoni tra le ruote, le leggi europee vengono interpretate a loro piacimento, ma quando si tratta di far valere i diritti del cittadino! per loro no!  Si parla dei diritti dei clandestini quando poi noi non abbiamo nessun diritto! Poi vedo questo inserito senza commento dalla bravissima Milena Gabanelli e mi bolle il sangue a mille… MI DOMANDO… NON VI SENTITE PRESI PER I FONDELLI?

Ora riporto l’articolo di Paolo Cardenà sui veri problemi reali in italia, la distruzione delle imprese per merito dello stato, ricordo che nella costituzione è presente ancora l’articolo dove si dice che siamo una nazione fondata sul lavoro…. quando ci farete lavorare? quando inizierete a farlo voi cari politici?

ECCO COME IL FISCO DISTRUGGE LE IMPRESE

PREMESSA
Il caso di seguito descritto rappresenta la pressione fiscale complessiva subita da una piccola società con due soci, che ha realizzato, nell’esercizio 2012, un utile di appena 32000 euro. Una miseria, insomma. Eppure la pretesa del fisco è tale da richiedere alla società e ai soci il pagamento di circa 27 mila euro tra tasse e contributi, ossia quasi l’85% dell’utile realizzato. 


di Paolo Cardenà – In questi giorni, visto l’approssimarsi delle scadenze fiscali, sono molto impegnato con le dichiarazioni fiscali per il periodo di imposta 2012. Questo periodo, oltre ad essere sempre intenso di lavoro, ispira  numerose riflessioni e  altrettanti spunti  sullo stato di salute delle nostre imprese, sulla pretesa tributaria che patiscono, e sul futuro che ci attende. In una di queste, sono giunto alla conclusione che, in Italia, conviene non lavorare, non imprendere. Starsene beatamente a casa curando i propri interessi, i propri hobby, e magari darsi a qualche buona lettura, ripagherebbe molto di più che fare impresa. Sarebbe molto più utile, almeno nello spirito. Perlomeno, fino a quando non accadrà qualche shock di sistema, tale da riformare strutturalmente i meccanismi fiscali  al limite dell’incredibile, dell’immaginario e della sopraffazione. Mi riferisco alla sopraffazione che il fisco pratica nei confronti dei contribuenti e, nel caso specifico, di chi fa impresa.

Qualche giorno fa, mi è passata di mano una dichiarazione di un piccola società di capitali: una srl, con due soci che svolgono entrambi la propria opera all’interno della società.
La crisi, chiaramente, anche in questo caso,  non ha risparmiato l’impresa: i ricavi si sono contratti significativamente, e anche l’utile è stato spinto al ribasso. Tant’è che  il bilancio al 31/12/2012, presenta un utile prima delle imposte di appena 32000. Una miseria insomma, che non ripaga affatto il sacrificio sopportato dai due imprenditori, che si dedicano alla loro attività quasi 12 ore al giorno, immersi con impegno totale e dedizione in questo lavoro, trascurando i propri interessi, i propri affetti e le proprie passioni. Una storia di imprenditori onesti e laboriosi. Una storia come tante altre, in Italia.
In questo caso, nella determinazione delle imposte da pagare a carico della società in esame, nonostante l’esiguità dell’utile – certamente non sufficiente a  garantire la sussistenza degli imprenditori e delle rispettive famiglie-, la tassazione pretesa dal fisco in capo alla società è di oltre 15.000 euro. 15.593 euro, per l’esattezza. Di cui, 12.024 a titolo Ires, e 3569 per Irap. Quindi, la società subisce un carico tributario di oltre il 48%.

Vi chiederete come sia possibile, immagino. E’ possibile perché il legislatore fiscale, sempre in cerca di nuova materia imponibile da colpire, e quindi di nuovo gettito tributario, nel corso degli anni, ha reso indeducibili una serie di costi, sia ai fini Ires che Irap. Solo per enunciarvi qualche esempio, le società, ai fini Ires, nonostante abbiano patito un incremento dei costi finanziari per via dell’inasprimento delle condizioni bancarie, nella determinazione del reddito, non possono portare in deduzione tutti gli interessi passivi che pagano, ma possono farlo solo nei limiti del 30% del ROL (Reddito Operativo Lordo). Essendo il ROL una variabile che dipende, tra l’altro, dai ricavi conseguiti, diminuendo questi ultimi, ne deriva che si contrae anche il ROL, divenendo meno capiente ai fini della deduzione degli interessi passivi, che comunque aumentano. Invece, ai fini Irap, gli interessi passivi sono, in buona sostanza, indeducibili nella sua interezza. Quindi, aumentano gli interessi (costi), diminuiscono i ricavi, il reddito, ma si pagano più imposte.

Altro esempio emblematico riguarda le autovetture. Si pensi ai costi di acquisto, gestione e manutenzione del parco autovetture.  Questi, possono essere dedotti solo per il 40% (deduzione ridotta al 20% dal primo gennaio 2013). Oppure, ancora, all’indeducibilità dei costi del personale ai fini Irap, per i quali, il legislatore riconosce comunque alcune deduzioni. Per queste componenti di costo, enunciate solo  a titolo esemplificativo, il legislatore ha previsto l’indeducibilità ai fini della determinazione del reddito tassabile, ancorché siano costi sostenuti nell’ambito del normale svolgimento dell’attività di impresa, pertinenti e indispensabili  al conseguimento del fine imprenditoriale.
Per via della parziale deducibilità o dell’indeducibilità totale di questi  costi, accade che, paradossalmente, l’erario può fondare la pretesa tributaria su un reddito non prodotto e su un utile realizzato.

Ritornando all’esempio che ci occupa, la tassazione della società e dei due soci non si esaurisce con i 15.593 euro di tasse in capo alla società. Ma anche i soci sono colpiti dal imposizioni tributarie e contributive.

Già, per l’anno 2012, i due soci hanno corrisposto i contributi Inps sul reddito minimale individuato a circa 15000 euro. E quindi altri 3200 euro ciascuno di contributi Inps facendo salire il conto a 21993. Oltre ai contributi pagati sul reddito minimale,  la legge prevede che, ciascun socio che lavora nell’azienda debba versare anche i contributi Inps a percentuale sulla parte di reddito eccedente il minimale. In questo caso, essendo il reddito fiscale di euro 43722 per via della ripresa a tassazione delle componenti di costo pocanzi enunciate, ne consegue che ciascun socio debba corrispondere all’Inps altri 1482 euro ciascuno, ancorché il reddito prodotto non sia stato prelevato in forma di utili distribuiti. E l’imposizione fiscale complessiva, con un utile  di appena 32000, è già arrivata a quasi 25000 euro, ossia il 78% dell’utile prodotto nel 2012. 
Ma c’è dell’altro. I due soci, nel corso del 2013, volendo prelevare l’utile netto realizzato nel 2012 , o meglio quel che rimane (16.407=32.000-15.939) anche per far fronte alle proprie spese e al pagamento dei contributi Inps in scadenza nell’anno, saranno sottoposti a un’ulteriore tassazione. Prima di tutto dovranno  registrare la delibera di distribuzione dell’utile, pagando 168 euro. Poi, nel 2014, nella propria dichiarazione dei redditi dovranno riportare l’utile imputato a ciascuno di loro (8.203) che andrà a formare la base imponibile in misura del 49.72% dell’utile prelevato, in quanto, in parte, già tassato in capo alla società. Quindi, ipotizzando che lo scaglione di reddito da applicare sia il più basso (23%), ciascuno di loro, al netto degli oneri deducibili pagati nel corso del 2013, dovrà corrispondere all’erario ulteriori 900 euro tra Irpef e addizionali varie. Quindi, il conto delle imposte pagate sia dalla società che dai soci, per un misero utile di 32000 euro, sale fino ad arrivare a 27000 euro, euro più euro meno. Ossia l’85% dell’utile prodotto dalla società nel 2012. Oltre alle tasse di cui abbiamo dato nota, c’è da dire che l’impresa, durante l’esercizio, subisce altre forme di imposizione. Si pensi, ad esempio, al diritto annuale della camera di commercio, alla tassa sulla vidimazione dei libri sociali, all’eventuale IMU (indeducibile) e ad altre contribuzioni obbligatorie per legge, che, tuttavia, sono già considerate nella determinazione del risultato d’esercizio originario(32.000 euro).
C’è da dire che la pretesa del fisco non si esaurisce con questa pretesa assurda e distruttiva, che oltrepassa di molto ogni limite di sostenibilità e ragionevolezza. Invero, per i 5 anni successivi, il fisco potrà esperire eventuali controlli sulla fedeltà fiscale dell’azienda, e magari accertare ricavi superiori a quelli dichiarati, determinati in ragione agli indicatori previsti dagli studi di settori a cui la società è sottoposta. 

Se pensate che il caso appena descritto costituisca  un caso limite, vi state sbagliando di grosso. Benché il caso proposto offra dei piccoli margini di ottimizzazione del livello di pressione fiscale, esistono casi in cui le aziende, nonostante conseguano delle perdite anche significative, sono esposte ugualmente al pagamento di un carico fiscale eccessivo ed insostenibile. Tanto più in momenti di crisi profonda come quello attuale. Ciò è possibile per effetto della ripresa a tassazione dei costi che il fisco considera indeducibili, nonostante siano indispensabili e strumentali  al raggiungimento degli scopi imprenditoriali.

Al fine di riepilogare il ragionamento proposto, vi propongo questo schema riassuntivo.

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2 commenti Commenta
draziz
Scritto il 12 Giugno 2013 at 16:54

Mi spiace dirlo ma in questa nazione, dove ladri e papponi abbondano,la presa per i fondelli fa parte della vita quotidiana… 🙁 anzi se lo sai fare sei considerato furbo ed… evoluto
Settimo: NON RUBARE, ma se neanche si ricordano dove sta scritto… 👿
I miei fondelli, a furia di essere abusati da chi ha la pretesa di guidare questa nazione, si sono già stracciati da tempo.
La democrazia, se vogliamo, misurata come equità e liceità della partecipazione di ognuno al funzionamento dello Stato mediante la corresponsione di imposte e tributi, è un’altra cosa.
Qui siamo ormai preda del NAZISMO FISCALE, propinato con giustificazioni e mascherine da teatro ma sempre con un solo fine: sopprimere l’altro da sé, che in una nazione dove il 90% dell’economia si sorregge, pardon! si sorreggeva…, sulle micro e piccole imprese significa l’autodistruzione.
Altro che aggregazioni e reti d’impresa, ma non fatemi ridere… qui si vuole che le imprese abbiano il capitale solo per poterglielo mangiare.
Con una burocrazia così invasiva e ottusa chie pensate che voglia fare impresa in Italia?
Beneficienza forse, fare impresa è, anche qui, un’altra cosa.
IMU ? IRAP ? Sono riusciti a superare anche il buon Massimo Troisi della celeberrima scena con il gabelliere nel film “Ricomincio da tre” (quanti siete? dove andate? cosa portate? 1 fiorino!), il che non era facile… ma ci sono riusciti… 😯 😯 😯

Scritto il 12 Giugno 2013 at 18:11

draziz@finanza,

parole sante cavolo Ora pongo una domanda: è possibile che il sistema pubblico italiano costi metà se non più del PIL?
Forse è possibile tagliare qualcosa…. qui si aumenta e basta ma poi come biasimare i tedeschi…. che tanto mi stanno sulle scatole… quando poi è questo è il motivo dello scetticismo di molti tedeschi nell’aiutare i Paesi del gruppo PIIGS….
Lo sport preferito di ogni politico italiano negli ultimi anni è sempre stato quello di dar colpa all’Europa per ogni decisione impopolare da prendere.
Dalle pensioni alle politiche del rigore è sempre colpa dell’Europa… in realtà questi cialtroni strapagati sono i veri responsabili…

L’euro ha 11 anni e la crisi c’era già negli anni ’90, solo che grazie all’euro abbiamo beneficiato di una riduzione dei tassi che ci ha permesso di riprendere fiato.
Noi non ne abbiamo approfittato e siamo precipitati nuovamente in un contesto drammatico che la crisi del 2008 ha solo accentuato….
TUTTI IN CORO A PARLARE DI RITORSIONI A METTERSI CONTRO L’EUROPA ma la politica dell’austerity non è della sola Germania come molti mass-media voglio farci credere, ma di quasi tutti i Paesi europei… E’ QUESTO IL PROBLEMA!.
QUI MI SORGONO ALTRI DUBBI:
Ci hanno venduto gli aumenti delle tasse, i pareggi di bilancio da raggiungere e tutte le politiche di austerità COME L’IMPOSIZIONE EUROPEA!!!
MA CAVOLO IL FISCAL COMPACT è un trattato redatto da Francia e Germania e benedetto da Olanda e Finlandia.
Approvato dal Portogallo (che fa parte del gruppo dei PIIGS) addirittura prima dei tedeschi e di noi italiani.
I più furbi sono stati la Repubblica Ceca e Gran Bretagna hanno detto NO e non mi risulta che ci sia stata una qualche ritorsione nei loro confronti.
Ognuno è stato libero di assumere la decisione che riteneva più opportuna.

Il nostro Parlamento ha ratificato il trattato così come ha inserito in Costituzione il Pareggio di Bilancio noi potevamo fare a meno di sottoscriverlo? le conseguneze sarebbero state che l’Europa non sarebbe intervenuta in nostro soccorso se fossimo stati coinvolti in una crisi finanziaria…? NON LO SAPREMO MAI!
MA POI E’STATO INTERVENUTO DRAGHI AD AIUTARCI O L’EUROPA?
L’Europa non è intervenuta a favore dell’Italia… SE SIAMO USCITI CON IL NASO DALLE SABBIE MOBILI LO DOBBIAMO SOLO A DRAGHI… NON A MONTI E NON A EU!
Morale i nostri politici sono incompetenti stra pagati quindi tasse e fiscal compact non è stato sottoscritto dall’Italia ma dagli “incoscienti” come il nostro caro professore e tutti i politici che noi votiamo!
quindi altro che IMU… LASCIATELA! MA RIDUCETE TUTTO IL RESTO

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