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Fondazione MPS ecco la lunga stagione dei debiti comunisti
La saga MPS continuerà per molto tempo e molte persone politicamente famose andranno nelle mani della giustizia, anche se lenta e in parte poco giustizia, sabato Grillo ci ha delizziato con altri interrogativi su questa antica salassante e salassata banca QUI l’articolo
Si cominciò con i 490 milioni del fresh, l’inizio del tracollo.
Finalmente sembra che sia chiaro a tutti quello di cui chiedevamo il rendiconto già il 29 novembre 2011: i debiti segreti della Fondazione. Fin dall’aumento di capitale del 2008 Palazzo Sansedoni aveva fatto debiti per 490 milioni – che non aveva – per partecipare all’acquisto di Antonveneta.
Debiti segreti per i cittadini senesi ma probabilmente palesi a chi dirigeva.
Ora possiamo spiegarci i trucchi contabili e finanziari impliciti nel Fresh “per non rischiare una diluizione futura … decise di farsi finanziare l’operazione da Credit Suisse e Mediobanca con la stipula degli ormai famosi contratti Tror, che di fatto erano un debito”.
Chissà se la delibera della Deputazione Amministratrice al riguardo è carente di informazione per la Deputazione Generale.
Segreti di palazzo invece della trasparenza: la città non doveva sapere, non doveva giudicare.
Nei mesi seguenti all’accordo col Santander ci fu una capillare campagna di informazione tesa a sottolineare la giustezza dell’operato di Banca e Fondazione, senza fornire alcun elemento utile, al punto che perfino i bene informati delle Liste Civiche Senesi (tra cui c’era un ex sindaco), scoprirono solamente il 3 giugno (tre giorni dopo il closing del contratto Antonveneta), che “la Fondazione ha stipulato un debito di 580 milioni”.
La stampa dell’epoca ne fa fede, come i verbali del Consiglio comunale.
Borsa Italiana testimonia che il 18 febbraio 2008 il titolo MPS valeva 2,132 euro, mentre oggi parte da 0,2359; esattamente il contrario di quanto aveva previsto Mussari nell’annunciare l’affare padovano: come meravigliarsi se le scommesse finanziarie chiamate derivati sono state tutte padellate?
Nel 2011, poi, il pallone avvelenato si fa imparabile visto che si vuole aderire al nuovo aumento di capitale. Parlangeli salta come il tappo di uno champagne scaduto, firma Pieri. Firmano anche Mancini e la Deputazione Amministratrice, mentre il resto degli amministratori stanno in silenzio.
Firma anche il ministro Tremonti, distratto forse al punto di non leggere i due numeri messi nel provvedimento. Perché da buon commercialista avrebbe dovuto farsi due conti semplici per capire che non si doveva fare: mancavano i requisiti di cui all’art. 3 dello Statuto della Fondazione.
Così invece di chiederne conto a chi ha firmato, girano per la città dei cultori del pubblico interesse, che vorrebbero modificare lo statuto insieme a chi lo ha infranto.
Grazie alle illuminate scelte della Deputazione Amministratrice e al ferreo controllo di Banca d’Italia, Consob, Ministero dell’Economia, la Fondazione si ritrovò con debiti superiori al miliardo.
Il pool di banche finanziatrici conosce l’incapacità della Fondazione di creare reddito.
Non ha una propria attività economica, non ha diversificato gli investimenti, dipende in tutto e per tutto dai dividendi della banca (quella che chiede l’aumento di capitale) e in più viene finanziata in base a un piano economico che prevede la dismissione delle partecipazioni come Cassa Depositi e Prestiti (che dividendi ne ha sempre dati). source
C’è chi pensa che il covenant – che proteggeva i creditori dal possibile rischio di default della banca – sia alla stregua di un patto leonino, una cosa che assomiglia parecchio allo strozzinaggio, ma anche questo sarà di pubblica discussione quando sarà troppo tardi come per tutto il resto della vicenda.
Una considerazione finale amara: le ispezioni della Banca d’Italia nel 2010 hanno dato qualche risultato dopo tre anni, ma quasi solo per parare le critiche all’operato dei Vigilanti e non alla salvaguardia del patrimonio dell’istituto bancario.
Oggi gli ispettori romani stanno spulciando tutto quello che possono trovare dentro Rocca Salimbeni: corriamo il rischio che quanto possa emergere adesso nelle loro mani diventi di dominio pubblico fra altri tre anni, quando la banca sarà altrove e cinquecento anni di gloria bancaria sfumati nel ricordo del tempo che fu.
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