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Monte dei Paschi di Siena: in Fondazione i conti non tornano
Mentre in parlamento Grilli difende e sostiene difendendo l’indifendibile Banca monte Paschi con frasi tipo questa «È indispensabile non insinuare dubbi sulla solidità del nostro sistema», ha detto il ministro dell’Economia Vittorio Grilli in audizione dinanzi alle commissioni riunite Finanze di Camera e Senato riferendo sulla situazione del gruppo Monte dei Paschi di Siena.
Dal report infinito MPS…in Fondazione i conti non tornano
Mussari non avrebbe potuto fare nulla senza l’acquiescenza (approvazione) di Mancini.
Il motivo per cui non è stata ancora fatta pulizia totale tra Rocca Salimbeni e Palazzo Sansedoni risiede nel fatto che tutti coloro – e dovevano essere parecchi sull’asse Siena-Milano – i quali erano a conoscenza delle manovre disperate di Mussari e Vigni potrebbero decidere di parlare. E parlando distruggere la reputazione di diversi
uomini politici, in un momento delicato come questo in cui siamo: in piena campagna elettorale per le Politiche.
C’è chi lo ha già fatto in tempi non sospetti, come l’ex direttore finanziario della Fondazione MPS Nicola Scocca, fin dal Report famoso del maggio scorso. “Per essere più espliciti, la Fondazione nell’arco temporale dal 2001 al 2005 (presidente Mussari, ndr) si stava comportando come una famiglia che spendeva più di quanto si fosse posto come obiettivo di guadagno nel medio-lungo termine, in altre parole stava erogando non guadagni bensì patrimonio, calcolato a valore contabile, e tali squilibri, se valutati a mercato sarebbero stati anche maggiori, ma la politica di valorizzazione delle partecipazioni della Fondazione stabilita dalla Direzione era di calcolarle a costo storico, e non a mercato data la loro valenza strategica.
La voce contabile che distorceva in maniera netta tale calcolo di rendimento era rappresentata dalla partecipazione in Banca Mps che negli anni passati era contabilizzata a euro 1,08, livello molto inferiore ai corsi di mercato…”, questo si legge in un documento agli atti in Procura, che ha interrogato l’ex direttore finanziario ripetutamente, ottenendo informazioni straordinarie sul sistema Siena-Banca-Partito.
E siamo ancora all’inizio, perché dagli articoli di giornale di oggi (sembra che la stampa nazionale si sia svegliata di soprassalto, e stanno dando conferma di cose che diciamo da anni), pare che ancora non si è arrivati a interrogare l’ex provveditore Parlangeli, l’unico in grado di completare il racconto, passando dagli anni mussariani alla gestione Mancini. Eppure Marco Parlangeli in Procura c’è stato, essendo coinvolto insieme con Mussari nelle vicende dell’aeroporto di Ampugnano con l’accusa di concorso morale in falso in atto pubblico e in turbativa d’asta. source
Davvero non occorreva un genio, in Fondazione, dopo il trasferimento d’imperio dell’avvocato di Catanzaro dalla poltrona in Banchi di Sotto a quella, più visibile, in piazza Salimbeni nel 2006. D’altra parte il controllo del partito su Palazzo Sansedoni si era fatto granitico già dopo l’approvazione nel 2001 dello statuto della Fondazione, che la consegnava agli amministratori locali tutti rigorosamente, da Comune e Provincia a Regione di marca DS prima, PD dopo. Si necessitava di una persona che continuasse a gestire il “Sistema” che muoveva lo spreco di risorse che non c’erano, secondo la lucida ricostruzione di Scocca, e di mantenere il livello dei vasi comunicanti. E allo scopo Mancini era quasi perfetto, se non fosse stata per la sua estrazione da ex democristiano poi margheritino che introduceva nelle stanze del potere una componente politica locale da sempre all’opposizione, e su cui è già partito, a livello nazionale nei media, il tentativo di scaricare le colpe del disastro che è stato combinato: perfino il genero di Caltagirone, ieri a Sky Tg 24, ha pontificato sulla banca e sul ruolo del Partito Democratico.
Sulle spalle dell’attuale presidente della Fondazione rimarrà per sempre la macchia indelebile della cambiale in bianco concessa alle banche finanziatrici all’atto dell’erogazione del prestito (600 milioni, che con gli interessi sarebbero diventati quasi il doppio), che occorreva per l’ultimo aumento di capitale MPS nel luglio 2011. Il covenant che disponeva un vantaggio di rischio per chi prestava i soldi: al calare del valore del titolo MPS, incremento delle garanzie e rimborso anticipato. E addio obblighi statutari di non impegnare in posizioni debitorie più del 20% del valore del patrimonio. E ovviamente andò così, e non è detto provocato per forza da Mediobanca, JP Morgan e gli altri dieci finanziatori. La situazione della banca era così compromessa che non poteva succedere altro.
Pare che nel mondo dell’alta finanza lo sapessero tutti, tutti tranne chi nel novembre 2007 aveva comprato una quota in Mediobanca per sedere “nel salotto buono” della finanza italiana. A furia di obbedire si perde perfino il senso della realtà.
Dovo aver letto tutto questo è d’obbligo dirlo: “E’ TUTTA colpa dei derivati!!!!!”
… sì, degli uomini derivati dal partito!
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Ma è vero che il mutuo (maggiorato) di Grilli per la sua casa ai Parioli lo ha erogato il MPS? 😯