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Sia in Grecia che In Europa trionfa l’austerity: Six Pack trattato sulla stabilità

Scritto il alle 11:25 da carloscalzotto@finanza

 




Da alcuni giorni circola la bozza del progetto di “trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell’unione economica e monetaria”. Si tratta della traduzione in forma di trattato dell’accordo “dimezzato” trovato da una parte dei Paesi europei nel vertice 9 dicembre 2011.

Inserisco l’interessante articolo di Roberto Maggio

La predisposizione di un nuovo trattato internazionale per fissare i principi relativi al rafforzamento della disciplina di bilancio e al coordinamento delle politiche economiche è nata a margine del Consiglio europeo dell’8- 9 dicembre 2011. La dichiarazione è stata adottata una volta preso atto della impossibilità di raggiungere, in seno al Consiglio europeo, un accordo tra tutti i 27 Stati membri sulle modifiche da apportate ai trattati vigenti, in ragione della opposizione del Regno Unito. Il trattato è previsto da una dichiarazione adottata dai 17 Capi di Stato e di governo dell’eurozona cui hanno aderito anche altri 9 Stati membri: Bulgaria, Danimarca, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, e Ungheria; Svezia e Repubblica ceca, ovvero tutti ad eccezione della Gran Bretagna.

Si tratta quindi di un trattato anomalo, in quanto non coinvolge tutti i paesi membri dell’Unione. L’escamotage dei Paesi europei verrà pertanto negoziato e stipulato al di fuori del quadro istituzionale dell’Unione europea e delle procedure previste per la modifica dei Trattati dell’UE.

Secondo le dichiarazioni del presidente Ue Herman Van Rompuy si troverà un accordo definitivo sul nuovo Trattato alla fine del mese e verrà firmato a inizio marzo.

In realtà buona parte degli interventi prospettati nella dichiarazione sono già previsti dalla legislazione approvata l’8 novembre scorso, nel cosiddetto Six Pack e nel patto Europlus. Accordi precedenti, che però con il trattato diventano ben più vincolanti e cambiano il volto dell’Unione.

Ma quali sono queste ricette, partorite da un anno di duro lavoro del Consiglio, della Commissione e del Parlamento europei?

Quali sono le norme contenute nel six pack?

E quali sono gli accordi del nuovo trattato?

Sono i famosi Eurobond con cui unificare il debito pubblico e finanziare nuove politiche espansive, tante volte annunciati?

È la Tobin Tax, la tassa sulla transazioni finanziarie che il presidente della Commissione europea Barroso ha promesso per l’ennesima volta di introdurre la settimana scorsa di fronte al Parlamento?

Sono nuove regole per mettere a freno la speculazione finanziaria?

Sono nuovi strumenti di welfare per sostenere precari e disoccupati?

Sono nuovi programmi di investimento pubblico sull’istruzione, sulla ricerca, sull’innovazione, per favorire la riconversione ecologica della produzione?

Niente di tutto questo. Il trattato, così come il precedente six pack si fonda sull’istituzionalizzazione dell’austerity mediante i vincoli di bilancio.

I Paesi che sostengono l’accordo si dichiarano consapevoli della necessità di che il proprio deficit non sia superiore al 3% del PIL e che il debito pubblico non superi, o inizi a tendere verso il 60% del PIL.

Sulla base di ciò, attraverso il nuovo trattato, gli stati contraenti concordano un patto di bilancio detto “fiscal compact” con funzione di coordinamento delle politiche economiche.

La norma principale è prevista all’art.1 lettera a) del trattato: “Il bilancio dello stato dovrà essere in pareggio o in attivo” Viene messa nero su bianco la regola aurea del pareggio di bilancio, follia ideologica neoliberista che rischia di distruggere quel che resta delle tutele sociali in Europa.

Per la precisione la regola del pareggio o surplus di bilancio è considerara rispettata se il disavanzo strutturale dello Stato ha un deficit non superiore allo 0,5% del PIL e con margini temporanei ed eccezionali di un deficit dell’1% laddove vi siano particolari situazioni di crisi economica.

Si tratta in ogni caso di barriere ben più stringenti dei già pesanti vincoli del patto di stabilità, definito in tempi non sospetti “stupido” da Romano Prodi, e più volte violato da gran parte dei paesi europei, Germania compresa.

Tale impegno deve essere assunto entro un anno mediante norme vincolanti, come le modifiche alla costituzione. Si prevede anche l’introdurre nell’ordinamento nazionale un meccanismo di correzione automatica.

Se quindi l’impegno sull’attuazione del pareggio di bilancio era contenuto già in una formulazione non giuridicamente vincolante, nell’ambito del Patto euro plus, con questo nuovo trattato diventerà obbligatorio raggiungere questo obiettivo.

Particolarmente interessante è un emendamento della Banca centrale europea ancora in discussione che suggerisce, invece, di subordinare la deroga all’obbligo di bilancio (e quindi la possibilità di incorrere in un disavanzo) in caso di recessione grave, al voto a maggioranza qualificata delle parti contraenti.

In sostanza la Banca Centrale presieduta da Draghi propone che l’allargamento dei vincoli dell’accordo possa essere effettuato solo se gli altri paesi esprimono parere favorevole. Sarebbe il definitivo esautoramento dei parlamenti nazionali non a vantaggio di un altro organo di rappresentanza democratica, come il Parlamento europeo, ma di un negoziato tra governi.

fonte Il corsaro

Il trattato inoltre vincola gli stati ad un ulteriore correttivo: qualora il rapporto debito pubblico/Pil superi la soglia del 60%, le parti contraenti si impegnano a ridurlo mediamente di 1/20 all’anno come già previsto da una delle norme del Six Pack [regolamento UE n. 1177/2011] Tale regolamento dispone infatti che gli Stati con debito superiore al 60% si impegnino a ridurlo a un ritmo soddisfacente, definito come una riduzione di 1/20 dell’eccedenza, registrata nel corso degli ultimi tre anni , rispetto alla soglia del 60%. Tale regolamento diventerà effettivo per tutti a partire dal 2015, a partire da allora se il debito supererà il 60% del PIL, il debito dovrà essere ridotto ogni anno di un ventesimo, altrimenti scatteranno durissime sanzioni, con una imposizione di un deposito dello 0,2% del pil.

Ad esempio, se il debito in Italia è 1843,015 miliardi di € la riduzione annua del debito dovrà essere di 92,15 miliardi di € l’anno. Ovvero manovra economica ben più grande della celebre e drammatica manovra Amato, il doppio dell’ultima manovra Monti, dovrebbe essere finalizzata solo alla riduzione del debito. In caso di mancato adempimento dei vincoli sulla riduzione del debito l’Italia subirebbe pesanti sanzioni: se il PIL Italiano è di 1.519.702 miliardi di € la sanzione da versare all’Unione Europea sarebbe di ben 3.039.404.000. Una vera e propria ghigliottina che non lascerebbe scampo ad alcun paese.

I Paesi del patto, laddove fossero oggetto di una procedura per disavanzo eccessivo, dovranno sottoporre all’approvazione della Commissione europea e del Consiglio un programma dettagliato contenente impegni vincolati, a partire dalle riforme strutturali che il Governo intende mettere in atto per sanare la situazione di deficit eccessivo. Solo successivamente si procederà alla discussione nei parlamenti nazionali.

I Paesi dell’Eurozona sono vincolati a sostenere le proposte e le raccomandazioni adottate dalla Commissione europea nell’ambito della procedura per disavanzo eccessivo, a meno che esse non siano respinte dal Consiglio a maggioranza qualificata ,ma tale votazione si svolge senza tenere conto del voto dello Stato interessato.

Viene quindi stabilito che non solo lo Stato cede la propria sovranità sulle politiche di austerity all’Europa, a, e non al Parlamento ma al negoziato tra governi. Addirittura, quando l’Unione Europea decide sulla procedura di infrazione, il Paese in questione non ha alcun peso nella decisione.

I Paesi del trattato si riuniranno periodicamente in un vertice, l’Euro Summit, a cui prenderà parte il presidente della Commissione Europea e, come invitato, il Presidente della Banca Centrale Europea; nessun rappresentante del Parlamento viene coinvolto, come invece avviene per le altre tipologie di incontro europeo. Quindi, il già poco influente parlamento viene quindi esautorato anche della possibilità di incidere sull’economia degli stati e sulle loro scelte in materia.

L’Europa, stretta nella morsa della crisi e dei mercati, era ad un bivio. Ha scelto di istituzionalizzare la dittatura dei mercati.Qui trovate il testo completo fonte

 

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