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Cina: i tre segnali di un’ economia malata

Scritto il alle 22:03 da balrock@finanzaonline

Nuova iniezione di crediti, dopo la stretta anti-inflazione  e nuova emissione di moneta per salvarsi dalla crisi europea. Ma i crediti vanno per il 70% alle industrie statali e ai funzionari di partito, alle famiglie e alle piccole imprese quasi niente, il modello di crescita di Pechino penalizza il consumo interno.

Secondo i dati della Banca Popolare della Cina (BPdC), resi noti l’8 gennaio, lo scorso dicembre i crediti bancari sono cresciuti in un solo mese del 13,92 % passando da 562,2 a 640,5 miliardi di yuan (101 miliardi di dollari). È la conseguenza della decisione del 5 dicembre scorso dell’istituto di emissione, BPdC, che, in tale data, aveva infatti ridotto il tasso di riserva dello 0,5 % portandolo al 21 %. Su base annua la crescita della M2 – la base monetaria costituita dal contante in circolazione e dai depositi bancari – è stata del 13,6 %, mentre, sempre su base annua, a novembre la crescita della M2 era del 12,7 %, con un incremento perciò di 0,9%.Segno  evidente che i dirigenti cinesi sono allarmati dalla crisi del debito in Europa: temono che pure l’economia cinese possa schiantarsi al suolo e cercano di evitare tale prospettiva emettendo più moneta. Gonfiate da tali dati, le borse cinesi mettono ancora a segno dei rialzi di qualche punto.

Abbiamo tre segnali a riguardo che l’ economia della Cina è malata:

Il primo segnale è l’ indice PMI (Purchasing Manager Index – link), è un indicatore dell’andamento a breve dell’attività manifatturiera ed è compilato sulla base di un sondaggio condotto tra i responsabili degli uffici acquisti delle imprese industriali. Per la Cina il segnale predittivo prossimo di tale indice è negativo, situandosi sotto la sensibile soglia di 50. Questo indica una prospettiva di contrazione dei livelli della produzione del settore manifatturiero a causa di una attesa di calo della domanda.

 

Il secondo segnale è che nonostante la stretta monetaria mantenuta dalla BPdC fino ad inizio dicembre, la massa di moneta M2 è molto elevata, 11.550 miliardi di dollari, ed è superiore a quella giapponese, (9.630 miliardi di dollari), e a quella americana (8.980 miliardi di dollari). Va detto che per lo scorso anno, il totale del credito concesso dal sistema bancario in Cina è stato pari a 7.470 miliardi di yuan, appena sotto la soglia stabilita dal governo per il 2011 di 7,5 mila miliardi di yuan.

Questa massa di credito bancario è inferiore a quello del 2010, che era stato pari a 7,95 mila miliardi di yuan, ma qui va fatto un raffronto di più lungo termine. In un decennio, dal 2001 al 2011, il credito bancario in Cina è cresciuto un po’ meno di 7 volte, mentre la crescita della M2 è stata di un po’ più di sette volte. I margini per stimolare l’economia della Cina, senza rischiare l’iperinflazione, sono perciò limitati. Nel 2008, per compensare il crollo della domanda globale, la Cina ha ampliato la propria offerta di moneta di uno straordinario 150%, un aumento che ha permesso ai dirigenti cinesi di mantenere alta la crescita economica per non rischiare di perdere il controllo politico. Oggi una tale manovra non sarebbe possibile.

Il terzo segnale è che la Cina non può più contare su quello che è stato in questo decennio il motore della sua crescita, cioè le esportazioni e gli investimenti in conto capitale fisso. Dai primi del 2000 le esportazioni sono passate dal 25 % del Pil circa al 42 % nel 2008, con una media nel periodo superiore al 35 %. Elevatissimi, in rapporto a qualsiasi altro Paese ed a qualsiasi altra epoca, sono stati anche gli investimenti. Nel 2010 sono stati pari a circa il 45 % del Pil. In questi anni, a fronte di una progressiva deindustrializzazione in Europa e negli Usa, si è assistito ad un eccesso di investimenti in Cina, che hanno sì mantenuta alta la crescita cinese del Pil, ma che ora contribuiscono solo ad alimentare un peso insostenibile, quello della sovraccapacità produttiva.
Di conseguenza, il meccanismo cinese di crescita mediante il traino delle esportazioni verso tali Paesi e degli investimenti produttivi non è più praticabile. Dall’entrata definitiva degli accordi del Wto, l’abbattimento dei dazi doganali, la cosiddetta globalizzazione, la crescita del Pil cinese è stata determinata per circa il 70% da questi due fattori combinati e solo per il restante 30 % dalla crescita del consumo interno.

In questi anni il divario di reddito in Cina è aumentato, a scapito delle famiglie, cui in questi decenni è andato in media solo il 36 % del Pil, insieme alle piccole imprese, escluse dal sistema del credito bancario controllato per il 70 % dalle quattro maggiori banche commerciali cinesi.
Siccome le banche statali, controllate da funzionari del partito, finanziano di preferenza gli investimenti in infrastrutture volute da essi stessi insieme alle grandi imprese statali, controllate anch’esse da funzionari del partito, alle piccole e medie imprese non arriva quasi niente, gli resta soltanto il mercato “parallelo”, una rete di finanziarie che richiedono ben altri tassi d’interesse rispetto a quelli ufficiali. Per i piccoli imprenditori, il risultato della debolezza della crescita in Europa e nell’America settentrionale è stato perciò un tragico aumento dei suicidi; per i medi imprenditori, la via dell’emigrazione. fonte

 

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6 commenti Commenta
elisa-b
Scritto il 10 Gennaio 2012 at 22:12

Eh, ma non se ne salva uno!

balrock
Scritto il 10 Gennaio 2012 at 22:14

armageddon muhahahahahaha ciao Eli

Scritto il 10 Gennaio 2012 at 22:16

ballino..apri la mail 🙂

balrock
Scritto il 10 Gennaio 2012 at 22:21

Agata Marino:
ballino..apri la mail

grande,domani faccio tutto

Scritto il 10 Gennaio 2012 at 22:44

balrock@finanzaonline: grande,domani faccio tutto

notte …saluta ballina io vado a nanna… ciao Elisa…salutami tuo fratello:-)

elisa-b
Scritto il 10 Gennaio 2012 at 23:03

Ah, ciao eh! Presenterò i tuoi saluti

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