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Decreto Cresci Italia, Riforma e dubbi sulle Società a responsabilità limitata semplificata

Scritto il alle 03:00 da carloscalzotto@finanza

Tra le riforme approvate nel recente decreto legge “cresci Italia”, salta agli occhi la società a responsabilità limitata semplificata costituita da giovani sino a 35 anni. Apparentemente, si tratta di una misura importante, che abbatte i costi della costituzione di srl e incentiva l’imprenditoria giovanile. Ma un’analisi più approfondita rivela qualche incongruenza, oltre a un forte dubbio di costituzionalità. Altri paesi europei hanno già affrontato gli stessi problemi. La loro esperienza avrebbe potuto suggerire soluzioni migliori su un tema tanto complesso.L’articolo 3 del decreto “cresci Italia” introduce nel codice civile l’articolo 2463-bis dedicato alla “società
per azioni semplificata”. Le caratteristiche della srl semplificata sono essenzialmente due: il capitale minimo è di un euro e l’atto costitutivo non richiede la forma pubblica e il vaglio del notaio.
Apparentemente, entrambe le misure abbattono i costi di costituzione dell’impresa. Inoltre, il provvedimento è destinato solo agli “under 35” e quindi è ammantato dal nobile obiettivo di favorire l’imprenditorialità dei “giovani” attraverso una riduzione dei costi iniziali. Ovviamente, l’obiettivo non può essere solo di favorire i “giovani”, ma di ridurre i costi per iniziare un’impresa dei meno abbienti, altrimenti il provvedimento non avrebbe proprio senso. In realtà, si tratta di una scelta improvvisata su un tema che merita una riflessione molto più ampia. fonte

COMPORTAMENTI OPPORTUNISTICI A DANNO DEI CREDITORI

Riguardo al capitale minimo, il decreto affronta un tema oggetto di un amplissimo dibattito negli ultimi anni. Per comprenderlo, occorre fare un passo indietro e osservare gli effetti economici della “responsabilità limitata”.
La responsabilità limitata, di cui godono i soci di srl e spa, indubbiamente produce effetti benefici e incentiva l’attività di impresa e gli investimenti. Dall’altro, però, il “beneficio” potrebbe indurre i soci a comportamenti opportunistici a danno dei creditori: operazioni eccessivamente rischiose o che, al contrario, drenano risorse dal patrimonio sociale. Il pericolo di comportamenti opportunistici, che traslano una parte del rischio d’impresa sui creditori, si accentua in situazioni di crisi e quando s’avvicina il rischio di insolvenza, perché i soci sono certi di non perdere altro che il capitale conferito. Ovviamente, né i benefici né i pericoli della responsabilità limitata dipendono dall’età dei soci.
Le norme che tutelano il capitale sociale mirano a limitare questi pericoli, ma la loro reale efficacia è molto dibattuta. (1) Per comprendere il senso dell’intervento del governo, è sufficiente ricordare che le srl italiane devono avere un capitale sociale nominale minimo pari a di 10mila euro e, se i soci sono più di uno, solo il 25 per cento di questa somma (ossia 2.500 euro) deve essere versata subito. Inoltre, il versamento può essere sostituito da una garanzia o una fidejussione. (2) La legge, quindi, dice al socio una cosa semplice: “versa 10mila euro e non risponderai delle obbligazioni d’impresa col restante patrimonio privato”.

UNA SCELTA TROPPO LIMITATA O UNA SCELTA INUTILE?

Ma il capitale versato dai soci potrebbe non essere sufficiente per iniziare un’impresa. Molte aziende, infatti,– con l’eccezione di quelle di servizi che non necessitano o quasi di patrimonio iniziale, come le società di software – hanno bisogno di mezzi patrimoniali, forniti dai soci, sotto forma di capitale di rischio, oppure da banche, come capitale di debito.
Consentire di costituire società con solo un euro di capitale rende meno costoso “comprare” la limitazione del rischio, ma non elimina le esigenze patrimoniali dell’impresa, cui sopperirà capitale di debito: la banca finanziatrice, a quel punto, chiederà un’ipoteca e solo chi ha una casa (di famiglia, vista la giovane età prevista dalla legge) da ipotecare potrà costituire una srl semplificata. In pratica, nella maggior parte dei casi, giovani provenienti da ceti abbienti otterranno la limitazione di responsabilità scaricando dei rischi anche sul resto della società: non un gran risultato in termini redistributivi.
Sia chiaro: la stessa cosa potrebbe accadere anche mantenendo il capitale minimo di 10mila euro, che è spesso insufficiente a far partire un’impresa, ma proprio per questo non si capisce il senso dell’intervento del governo: se il capitale minimo non serve ed è una mera formalità, lo si elimini per tutti senza nascondersi dietro l’esigenza di favorire i “giovani”. Se invece gli si riconosce un qualche significato (ad esempio un minimo di “serietà” dell’investimento) allora va mantenuto per tutti.

ALTERNATIVE NE ESISTONO

Nell’Unione Europea si registra una tendenza verso la riduzione o eliminazione del capitale minimo, non verso l’abolizione del capitale tout court, però. In generale, si è notato che il meccanismo del capitale (e il capitale minimo soprattutto) non è in grado di prevenire molti dei pericoli di comportamenti opportunistici a danno dei creditori e, soprattutto, non previene le crisi dovute a problemi di liquidità.
Ad esempio, nel 2008 la Germania – il cui establishment economico e giuridico ha sempre difeso strenuamente la funzione del capitale sociale nominale– dopo un lungo dibattito ha introdotto una forma speciale di srl senza capitale minimo. (3) Assieme alla riduzione dei costi iniziali, però, il legislatore tedesco ha affiancato al capitale sociale altri strumenti di patrimonializzazione e di tutela dei creditori. Alcuni di questi sono una maniera surrettizia, e opinabile, di fare rientrare il capitale dalla finestra: in particolare, ogni anno la società deve accantonare a riserva legale un quarto degli utili netti.
Ma altri strumenti sono interessanti: il legislatore tedesco ha introdotto uno strumento simile al solvency test anglosassone, per cui gli amministratori non possono compiere distribuzioni ai soci (nemmeno di dividendi) se queste determinano l’insolvenza o ne aumentano il rischio (e, se violano questa regola rispondono personalmente verso la società o la massa fallimentare). (4)Non è questa la sede per proporre soluzioni compiute. Di certo un’analisi più approfondita delle questioni economiche sottese e una conoscenza maggiore delle esperienze dei nostri partner europei potrebbero aiutarci ad affrontare in maniera più approfondita un tema tanto complesso, senza necessità di nascondersi dietro il falso obiettivo di voler aiutare a tutti i costi i “giovani”.
Un’ultima notazione critica: ma siamo sicuri che la limitazione del nuovo istituto a chi ha meno di 35 anni sia legittima sul piano costituzionale?
(1) Vedi per tutti Enriques e Macey, “Creditors versus capital formation: The case against the European legal capital rules”, in 86 Cornell Law Rev., 2001, 1165 ss. e Denozza, “A che serve il capitale?”, in Giur. Comm., 2002, 585 ss.
(2) Art. 2463, comma 2, n. 4, c.c. e art. 2464 c.c.
(3) GmbHG §5° introdotto dal MoMig 2008.
(4) GmbHG § 64.

 

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