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Salvataggio delle banche: risolta alla “Italiana”

Scritto il alle 11:32 da gooser

banche_italiane_stress_test.jpgCome sapete, nel fine settimana, con il  decreto legge approvato dal Consiglio dei Ministri, Veneto Banca e la Popolare di Vicenza sono state poste in liquidazione coatta amministrativa. Non è mia intenzione annoiarvi con i tecnicismi dell’operazione, i quali possono essere letti in qualsiasi altro sito (attendibile) di informazione finanziaria . Ciò che voglio proporvi è un breve ragionamento che può aiutare a comprendere ciò che è accaduto e, sopratutto, ciò che potrebbe accadere in futuro nell’ambito della gestione delle banche in crisi. Come al solito, non ho la pretesa che voi possiate considerare come verità assoluta la mia riflessione, ma trovo che sia ampiamente fondata e quindi meritevole di essere letta.

Partiamo dall’antefatto.
Per Veneto Banca e la Popolare di Vicenza, sulla scia di quanto era stato deciso per Mps, era stata autorizzata la ricapitalizzazione precauzionale, che prevedeva l’intervento dello Stato per 5 miliardi di euro e la contribuzione dei privati per 1.4 miliardi di euro, al fine di ridurre l’intervento pubblico e   confinare tale intervento nel perimetro della disciplina degli aiuti Stato.
In buona sostanza, l’intervento dei privati si sarebbe concluso con una contribuzione a fondo perduto nel salvataggio delle banche venete. Da qui la difficoltà di reperire risorse private da immolare nella causa delle due banche venete. Una delle condizioni essenziali per disporre la ricapitalizzazione precauzionale da parte dello stato è che la banca o le banche (come in questo caso) siano solvibili.
Circostanza che era stata accertata qualche mese fa dalla stessa BCE.
Data l’impossibilità di trovare cavalieri bianchi pronti ad immolarsi sull’altare sacrificale delle banche venete (contribuendo alla ricapitalizzazione precauzionale da parte dello Stato), il perimetro normativo entro il quale si sarebbe dovuta affrontare la questione delle due banche sarebbe dovuto essere quello previsto dalla BRRD, che prevede  la contribuzione di azionisti, obbligazionisti junior, senior e quindi dei depositanti sopra i 100 mila euro.
Tuttavia, nella serata di venerdì (23/06/2017) la BCE ha dichiarato il dissesto delle due banche venete(failing or likely to fail) e, di conseguenza, il Comitato di risoluzione unico (SRB – Single Resolution Board) ha valutato se vi fossero tutti i tre requisiti per una risoluzione secondo la direttiva europea per i salvataggi bancari (BRRD), giungendo alla conclusione che non fosse possibile dichiarare la risoluzione in quanto in carenza il requisito dell’interesse pubblico. In buona sostanza  è come se il Comitato di risoluzione avesse detto che, “dato che per le banche venete non sussiste il rischio di innescare una crisi sistemica, non si rende applicabile quanto previsto dalla BRRD e quindi si rimanda al diritto italiano”.
Tuttavia,  dato  che l’applicazione della procedura di liquidazione ordinaria avrebbe comportato il coinvolgimento anche degli obbligazionisti senior e dei correntisti, il Governo ha modificato il TUB  e la liquidazione coatta creando una ambiente normativo idoneo ad aggirare e la BRRD.
Questo è ciò che è avvenuto.
Dato quanto sopra, ho pochi dubbi sul fatto che si sia trattato di una vera e propria forzatura delle normative in vigore. E questo al fine di raggiungere diversi obiettivi che, in ordine sparso, possiamo riassumere  così:
  • Salvare (molto apparentemente) l’Unione Bancaria;
  • Salvare il consenso politico a favore del partito che sostiene il governo che, altrimenti, avrebbe subito un duro colpo per via della distruzione dei risparmi, dato che nella risoluzione sarebbero stati coinvolti anche gli obbligazionisti senior e o depositanti sopra i 100 mila euro;
  • Salvare il Pd da sé stesso, dato che nel caso di applicazione delle normative previste dal BRRD sarebbe emerso tutto il pressapochismo che portò all’approvazione delle norme sul bail-in, prima che fossero messe in salvo le banche in difficoltà.
Come ho scritto nei giorni scorsi sulla pagina Facebook del blog , con la legislatura ormai alla fine e l’avvicinarsi del  redde rationem delle banche in difficoltà, dato che l’applicazione delle normative europee implicherebbe l’incenerimento su vasta scala di azionisti, obbligazionisti e depositati sopra 100 mila euro, la politica è molto cauta a non urtare la sensibilità degli elettori e quindi a non deteriorare il consenso politico.

 

Nessun uomo politico sano di mente potrebbe permettersi di sostenere l’incenerimento dei risparmi di decine di migliaia di persone, per il semplice motivo che una decisione del genere implicherebbe la distruzione del consenso elettorale e sarebbe una scelta suicida, dato che tra meno di un anno si vota. Inoltre, la tosatura su larga scala dei risparmiatori amplificherebbe il rischio di consegnare il paese a forze anti sistema. Cosa che anche la Ue vuole evitare.
Il governo italiano ( e quindi il Pd) non avrebbe potuto  permettersi il bail-in sulle venete. E data l’esclusione dell’applicazione delle norme previste dalla BRRD, l’unica alternativa possibile sarebbe dovuta essere la nazionalizzazione delle banche venete. Ma la nazionalizzazione, meno costosa per il contribuente (se non altro perché lo Stato sarebbe entrato nel capitale delle banche, con la prospettiva di recuperare almeno in parte l’esborso), avrebbe implicato la distruzione istantanea dell’unione bancaria (invece così avverrà in differita), oltre alla violazione delle normative sugli aiuti di stato.
Da qui la necessità di trovare una soluzione idonea a salvare le sorti dell’unione bancaria, la reputazione  del governo, quella del Pd  (cosa molto difficile, diciamo) e anche il risultato delle prossime politiche. Si è scelto quindi la liquidazione coatta delle venete, non prima di aver “massaggiato” le leggi rendendo il quadro normativo favorevole all’operazione e, sopratutto, a Banca Intesa che ha ottenuto robuste garanzie sui crediti acquisiti (si fa per dire) e anche i capitali necessari per non pregiudicare i livelli di patrimonializzazione (Cet 1)
Risultato:
L’unione  bancaria è salva (almeno apparentemente), anche se ha le ossa rotte. Il maggior onere a carico dei contribuenti (che potrebbe arrivare fino a 17 miliardi di euro) è lo scotto che l’Italia deve pagare per non aver nazionalizzato le banche (che, come detto, avrebbe affondato -molto di più di quanto è stato fatto – l’unione bancaria ma che, al tempo stesso, avrebbe determinato un minor onere per i contribuenti e con la prospettiva di recuperare l’esborso sostenuto) e aver voluto evitare il bail-in (e quindi la tosatura anche di obbligazionisti ordinari e depositanti sopra i 100k) che avrebbe implicato anche la distruzione del PD.
In ultimo, il governo italiano ottiene un altro risultato importante: la questiona bancaria italiana rimarrà confinata all’interno dei confini italiani. Il che implica che gli stranieri non potranno conoscere realmente lo stato delle banche italiane e scoperchiarne il vaso di Pandora.
Come andrà a finire? Non lo so, lo vedremo. Ma dubito fortemente che, dopo questo precedente, la Germania possa in qualche modo concedere la garanzia comune sui depositi bancari in Eurozona, che completerebbe l’Unione bancaria (è il terzo pilastro).
Come che sia, quanto avvenuto nel caso delle venete costituisce un precedete che non depone a favore di una maggiore integrazione dei paesi dell’eurozona e che probabilmente potrebbe essere potenzialmente esteso anche ad altri salvataggi. Ma alla base di tutto rimane l’enorme errore  degli ultimi governi italiani che, negli anni passati, hanno introdotto nell’ordinamento italiano le norme previste dalla BRRD, senza prima premurarsi di mettere in salvo le banche italiane. Su questo tema potrebbe essere utile vedere la mia intervista di qualche giorno fa (la trovate qui), che descrive esattamente le responsabilità (e l’omertà) degli ultimi governi nella gestione della crisi bancaria.

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