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Nanotecnologie e frontiere della medicina: la sfida di Mauro Ferrari, il matematico italiano che sta rivoluzionando la lotta ai tumori.

Scritto il alle 10:56 da Agata Marino

Vi inserisco l’interessante articolo di un’amica e blogger bravissima Paola Bonomo, potete trovarla QUI  oppure su TWITTER con i suoi 28000  e oltre followers

Una specie di barcamp delle nanotecnologie che ogni anno porta scienziati, ricercatori, imprenditori e venture capitalist a Gagliato, in provincia di Catanzaro (500 abitanti). Una Piccola Accademia che racconta ai bambini le nanoscienze.

Un happening che coinvolge tutto il paese in una grande festa in piazza (e che quest’anno ha portato la copertura in banda larga mobile e le chiavette Internet per la scuola elementare).
Tutto questo se lo sono inventati Mauro Ferrari, presidente e CEO del Methodist Hospital Research Institute a Houston, e sua moglie Paola Ferrari, due persone straordinarie che ho avuto la fortuna di conoscere. Potete leggere la loro storia, raccontata dal giornalista Michele Cocuzza, nel libro Il male curabile.

La sfida di Mauro Ferrari, il matematico italiano che sta rivoluzionando la lotta ai tumori.
Vi racconto in pochissime parole quello che ho capito – da laica – stamane alla sessione conclusiva di NanoGagliato, intitolata “L’alba della nanomedicina”, in cui Mauro Ferrari, dopo aver fatto una quindicina di chilometri di jogging per arrivare da Gagliato, ha raccontato lo stato dell’arte a tutti quelli che si sono presentati stamane al Lido di San Domenico a veder sorgere il sole.
Sono circa 20 anni che i nanofarmaci sono entrati nell’uso oncologico, dapprima con i tumori associati all’Aids e poi con una gamma crescente di tumori. Il principio attivo (doxorubicina o adriamicina) viene encapsulato in un veicolo liposomico (o polimerico) per diminuirne la tossicità dove non è richiesto, in particolare a carico del fegato e della milza, e aumentarne la disponibilità dove occorre, utilizzando le finestrazioni dei vasi sanguigni che alimentano la massa tumorale.

E con un’attenta nanoingegnerizzazione delle caratteristiche emoreologiche del farmaco (immaginatelo un po’ come un missile multistadio da progettare perché sia aerodinamico, solo che viene sparato nel sangue anziché in aria) possiamo rendere sempre più precisa la delivery del farmaco: Ferrari predice che tra pochi anni (e sempre con il caveat dei tempi di approvazione regolamentare) saranno proprio nanofarmaci i farmaci dominanti in oncologia.

Un’altra applicazione nanotech è quella di infiltrare il tumore con nanoparticelle di ossido di ferro, che poi vengono attivate tramite campi magnetici, ultrasuoni o radiofrequenze e si surriscaldano producendo l’ablazione termica del tumore.
Ma anche le migliori terapie che abbiamo in oncologia sono efficaci ancora in troppo pochi casi.

Oggi le chiavi di volta della ricerca oncologica sono due: la diagnosi precoce e la ricerca di strategie contro le metastasi.

La diagnosi precoce, in particolare, vede un orizzonte promettente nella proteomica, disciplina in cui si stanno facendo enormi sforzi per risolvere il problema (familiare agli ingegneri delle comunicazioni) del rapporto signal-to-noise, visto che la complessità delle proteine espresse nel nostro organismo fa sembrare il genoma un problema da scuole elementari (!)
Per fare queste cose è necessaria una fortissima interdisciplinarità tra esperti (fisici, biologi, matematici, ingegneri, clinici). “Se stai facendo una cosa che puoi fare da solo, voglio che cambi progetto”: questo quello che Ferrari dice ai ricercatori intorno a lui, il sintomo più lucido della complessità dei problemi intrattabili e insieme dell’ottimismo e della fiducia che le soluzioni – facendo lavorare insieme i migliori cervelli del mondo – possano arrivare.

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