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IL crollo dell’economia in CINA
Docente cinese: “La nostra economia è sull’orlo del baratro. Pechino sta barando”
A parlare non è un dissidente o un analista internazionale ma Larry Lang, titolare della cattedra di Studi finanziari all’Università cinese di Hong Kong e noto opinionista della televisione nazionale della Cina continentale. In una lezione a porte chiuse spiega: “Il regime ci impone di dire bugie. La verità è che ogni provincia cinese ha i conti simili a quelli della Grecia”. L’audio della lezione in cui, in 5 punti, spiega perché la Cina collasserà presto.
L’economia cinese “è sull’orlo della bancarotta” e ogni provincia del Paese “ha i conti simili a quelli della
Grecia”. Tutto questo “corrisponde a verità, ma secondo il sistema politico vigente nel Paese non possiamo dirlo”. A parlare non è un dissidente o un analista internazionale ma Larry Lang, titolare della cattedra di Studi finanziari all’Università cinese di Hong Kong e noto opinionista della televisione nazionale della Cina continentale.
Il professore ha tenuto una lunga lezione a porte chiuse nella città di Shenyang, nella provincia settentrionale del Liaoning: nonostante abbia proibito ogni ripresa della sua lezione, un audio è stato reperito e messo in Rete da alcuni dei presenti.
http://www.youtube.com/watch?v=comHcv7qSBg&feature=player_embedded&noredirect=1Nell’audio, secondo la traduzione fatta dall’Epoch Times, il professore apre la lezione dicendo: “Tutto quello che sto per dire è vero. Ma, secondo i canoni di questo sistema politico, non abbiamo il permesso di dire la verità. Non dovete pensare che stiamo vivendo in un tempo di pace: i media non possono riportare quello che accade. Chi di noi lavora in televisione si sente frustrato, perché non si possono fare programmi reali”. Secondo il docente, ci sono 5 motivi alla base della possibile bancarotta del sistema cinese.
Il primo motivo è che il debito del regime è di circa 36mila miliardi di yuan, pari a 5,68mila miliardi di dollari. Questo risultato si ottiene aggiungendo al debito dei governi locali – fra i 16 e i 19,5mila miliardi – quello delle imprese di proprietà statali, che si aggira intorno ai 16mila miliardi di yuan: “Con gli interessi che crescono, pari a 2mila miliardi l’anno, le cose peggioreranno molto presto”.
Al secondo punto c’è la grande incognita dell’inflazione, che il regime fissa in maniera ufficiale al tasso del 6,2 %. Secondo Lang, il vero tasso è intorno al 16 %: questo dato, tra l’altro, spiegherebbe molto bene le centinaia di migliaia di proteste sociali connesse al costo della vita che ogni anno avvengono in Cina e le preoccupazioni della Banca centrale del popolo, che sta riducendo in questi giorni il volume di liquidità immesso nel circuito economico cinese.
Al terzo punto c’è lo squilibrio fra produzione industriale e consumo interno. Il cinese medio, ha spiegato il professore, consuma soltanto il 30% dei prodotti dell’attività economica interna: in questo modo non si può sviluppare un mercato interno e aumentano i prezzi al consumo. Secondo Lang il nuovo crollo del tasso di produzione industriale – che ha toccato il record negativo di 50,7 – è il segnale della recessione in corso in Cina.
Al quarto punto ci sono gli indicatori di produzione: il tasso di crescita del Prodotto interno lordo, che per Pechino si aggira quest’anno intorno al 9 %, è falso. Secondo i dati del professore, infatti, il Pil è in realtà in seria diminuzione. Questo spiegherebbe perché moltissime aziende del settore privato – che secondo alcuni studi garantiscono il 70 % totale del Pil – sono state costrette a chiudere negli ultimi due anni scatenando un’ondata di disoccupazione.
All’ultimo punto c’è la pressione fiscale, che secondo Lang è fra le più alte al mondo: per l’industria (contando imposte dirette e indirette) le tasse arrivano al 70 % dei guadagni totali. Per il privato, il cuneo fiscale è arrivato al 51,6 %. Il professore, chiudendo la lezione, ha detto: “Appena lo tsunami economico inizierà a colpire la Cina, il regime perderà la sua credibilità e il nostro Paese diverrà uno dei più poveri al mondo”. fonte
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se ciò fosse vero, questo avvalora la tesi che regimi molto burocratici e con poca concorrenza interna difficilmente eviteranno spiacevoli sorprese in futuro. In generale le persone antepongono il proprio interesse privato all’interesse pubblico, e questo è più evidente tanto più che in una società non sia presente un etica forte e condivisa.
Dove è molto elevata la burocrazia e c’è poca responsabilità di fronte alla collettività (lo stato non ha un padrone) il settore pubblico tende a trasferire ricchezze impropriamente verso l’elite pubblica a vari livelli (dirigenti, politici), lasciando i debiti sulla collettività. Per certi versi è anche il difetto dell’Italia.