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EMBRARGO ED OBIETTIVI STRATEGICI TRA EUROPA E IRAN: GUERRA DELLE VALUTE
Una guerra monetaria: quali sono i reali obiettivi dell’embargo petrolifero dell’Unione Europea contro l’Iran.
Contro chi effettivamente è rivolto il cosiddetto “embargo petrolifero contro l’Iran”?
Si tratta di una importante questione geo-strategica.
Oltre a respingere le nuove misure dell’Unione Europea (UE) contro l’Iran come controproducenti, Teheran ha messo in guardia gli Stati membri dell’Unione Europea che l’embargo petrolifero dell’UE contro l’Iran farà molto più male a loro e alle loro economie che all’Iran.
Teheran ha così avvertito i leader dei paesi UE che le nuove sanzioni sono stolte e vanno contro i loro interessi nazionali e di blocco.
Ma tutto ciò è corretto? Alla fin fine, chi beneficerà della catena di eventi che stanno per essere messi in moto?
Gli embarghi petroliferi contro l’Iran sono una novità?
Gli embarghi petroliferi contro l’Iran non sono una novità.
Nel 1951, il governo iraniano del primo ministro Mohammed Mossadegh con il sostegno del parlamento iraniano nazionalizzava l’industria petrolifera iraniana.
Come risultato del programma di nazionalizzazione del dr. Mossadegh, gli Inglesi militarmente bloccavano le acque territoriali e i porti nazionali dell’Iran con la Marina Reale Britannica ed impedivano all’Iran di esportare il suo petrolio. Inoltre impedivano militarmente gli scambi commerciali iraniani.
Per di più, Londra congelava i beni iraniani e dava inizio ad una campagna per isolare con sanzioni l’Iran.
Il governo del dr. Mossadegh era democratico e non poteva essere facilmente diffamato e demonizzato dagli Inglesi in ambito nazionale, così costoro cominciarono a raffigurare Mossadegh come una pedina dell’Unione Sovietica, che avrebbe trasformato l’Iran in un paese comunista, insieme con i suoi alleati politici marxisti.
L’embargo navale britannico, assolutamente illegale, sfociava nel cambio di regime a Teheran, progettato dagli Anglo-Statunitensi mediante il colpo di stato del 1953.
Questo colpo di stato trasformava lo Scià di Persia da un governante di natura costituzionale in un monarca assoluto e dittatore, come i sovrani di Giordania, Arabia Saudita, Bahrein e Qatar. L’Iran veniva trasformato in brevissimo lasso di tempo da una monarchia costituzionale democratica in una dittatura.
Oggi, non è più possibile contro l’Iran un embargo petrolifero imposto militarmente, come è avvenuto nei primi anni ‘50.
Invece, attualmente Londra e Washington usano il linguaggio della giustizia e dei diritti, e si nascondono dietro il falso pretesto di bloccare le armi nucleari iraniane. Come negli anni ‘50, l’embargo del petrolio contro l’Iran ha come obiettivo strategico il rovesciamento del regime. Eppure, strettamente collegati al progetto di Washington di imporre un embargo petrolifero contro gli Iraniani, ci sono anche obiettivi che vanno ben al di là, che vanno oltre i confini dell’Iran.
L’Unione europea e le vendite di petrolio iraniano
Il principale cliente dell’Iran per il petrolio è la Repubblica popolare cinese.
Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE), con sede a Parigi, creata dopo l’embargo petrolifero arabo del 1973 come ala strategica dell’Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo (OCSE), l’Iran esporta 543.000 barili di petrolio al giorno verso la Cina.
Altri clienti dell’Iran di tutto rispetto sono India, Turchia, Giappone e Sud Corea.
L’India importa dall’Iran 341.000 barili al giorno, la Turchia 370.000 barili al giorno, il Giappone 251.000 barili al giorno, e la Corea del Sud 239.000 barili al giorno.
Secondo il Ministero iraniano del Petrolio, l’Unione europea incide solo per il 18% delle esportazioni di petrolio iraniano, il che significa meno di un quinto delle vendite complessive di petrolio da parte dell’Iran.
Tutti insieme, i paesi UE importano dall’Iran 510.000 barili al giorno.
Quindi, solo “collettivamente” l’Unione europea risulta il cliente dell’Iran secondo per importanza.
Questo ordine collettivo di grandezza delle importazioni di petrolio iraniano raggiunto dai paesi UE è stato evidenziato da coloro che vogliono enfatizzare l’efficacia dell’embargo petrolifero UE contro l’Iran. Comunque sia, l’Iran può sostituire le vendite di petrolio dedicate all’Unione europea attraverso nuovi acquirenti o incrementando le vendite a clienti esistenti, come la Cina e l’India.
Un accordo iraniano a cooperare con la Cina per lo stoccaggio di riserve strategiche cinesi dovrebbe colmare gran parte del vuoto lasciato dall’Unione europea.
Così, l’embargo petrolifero contro l’Iran direttamente produrrà effetti minimi. Piuttosto, è più probabile che un qualche effetto che influenzerà l’economia iraniana sarà da mettere in relazione alle conseguenze globali generate dall’embargo petrolifero contro l’Iran.
L’Iran e la guerra monetaria globale
Secondo il Fondo monetario internazionale (FMI), il dollaro statunitense e l’euro, insieme, costituiscono l’84,4% delle riserve per gli scambi valutari nel mondo (dato della fine del 2011).
Nel 2011, il dollaro USA, da solo, copriva la più grande quota di riserva valutaria al mondo, pari a 61,7%.
Le vendite di energia sono una parte importante di questa equazione, poiché il dollaro usamericano è strettamente collegato al commercio del petrolio. Infatti, il commercio del petrolio, tramite quello che viene chiamato il “petro-dollaro”, sta aiutando a sostenere il prestigio internazionale del dollaro statunitense.
Paesi in tutto il mondo sono stati praticamente costretti a utilizzare il dollaro statunitense per conservare la loro energia, i loro bisogni e le transazioni commerciali di petrolio.
Per evidenziare l’importanza del rapporto fra Stati Uniti e commercio internazionale del petrolio, tutti i membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC) – Arabia Saudita, Bahrein, Qatar, Kuwait, Oman, ed Emirati Arabi Uniti – hanno le loro valute nazionali agganciate al dollaro statunitense e in tal modo sostengono il petro-dollaro, commerciando il petrolio in dollari usamericani.
Inoltre, anche le valute del Libano, Giordania, Eritrea, Gibuti, Belize, e diverse isole tropicali nel Mar dei Caraibi sono tutte ancorate al dollaro USA. A parte i territori d’oltremare degli Stati Uniti, El Salvador, Ecuador, e anche Panama, tutti ufficialmente usano il dollaro USA come loro moneta nazionale.
D’altro canto, l’euro compete con il dollaro statunitense, benché a volte agisca come una moneta alleata. Infatti, in molti casi entrambe le valute operano in tandem contro altre valute, e sembrano sempre più in simbiosi, controllate da centri di potere finanziario.
A parte i diciassette membri dell’Unione europea che utilizzano l’euro come loro moneta corrente, il Principato di Monaco, San Marino e la Città del Vaticano hanno la concessione di mettere in circolazione questa valuta, e anche il Montenegro e la provincia serba del Kosovo a maggioranza albanese possono usare l’euro come loro valuta nazionale.
Al di fuori dell’area dell’euro (Eurozona), sono tutte ancorate all’euro, in Europa, le valute di Bosnia, Bulgaria, Danimarca, Lettonia, Lituania; in Africa le valute di Capo Verde, isole Comore, Marocco, Repubblica democratica di São Tomé e Príncipe, e le due zone dell’Africa centrale francese; e le valute di diverse zone extraeuropee sotto controllo dell’Europa occidentale, come la Groenlandia.
Sono direttamente collegate all’euro diverse aree monetarie del mondo.
In Oceania, il franco dei “Comptoirs Français du Pacifique” (CFP), dei territori francesi del Pacifico, semplicemente definito come “franco del Pacifico”, usato come valuta unitaria nei territori della Polinesia francese, in Nuova Caledonia e nel Territorio delle Isole Wallis e Futuna. Come citato più sopra, in Africa sono agganciate all’euro entrambe le zone dell’Africa centrale francese. Infatti, sia il franco della “Communauté financière d’Afrique” (CFA), che il franco “ouest-africain” in Africa occidentale – in uso presso Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea-Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo – e il franco della “Coopération financière en Afrique centrale” ( CFA), o franco dell’Africa centrale – usato da Camerun, Repubblica Centrale Africana, Ciad, Repubblica del Congo (Congo-Brazzaville), Guinea Equatoriale, e Gabon – hanno i loro destini strettamente collegati all’andamento valutario dell’euro.
L’Iran non è alla ricerca di un confronto militare, e non desidera accentuare le ostilità con gli Stati Uniti e l’Unione Europea.
Nonostante la narrazione distorta con cui viene presentato, Teheran ha dichiarato che chiuderà lo Stretto di Hormuz solo come soluzione estrema. Inoltre, gli Iraniani hanno ribadito che, come è nel loro diritto, non permetteranno il transito a navi degli Stati Uniti o ostili attraverso le acque territoriali iraniane, e che le navi ostili possono navigare attraverso le acque territoriali dell’Oman, invece che attraverso lo Stretto di Hormuz. Come nota a margine, tra l’altro, il problema per gli Stati Uniti e per gli altri avversari dell’Iran è che le acque sul lato dell’Oman dello Stretto di Hormuz hanno fondali troppo bassi.
Invece che in un confronto militare, Teheran si sta impegnando in un confronto economico su diversi settori.
Il primo passo, che ha visto il suo inizio prima del 2012, sono state le vendite di petrolio iraniano sui mercati internazionali, e questi commerci si sono distinti in base alle loro transazioni valutarie. Questo fa parte di una mossa calcolata dall’Iran per abbandonare l’utilizzo del dollaro usamericano, proprio come aveva fatto nel 2000 Saddam Hussein come mezzo per combattere contro le sanzioni imposte all’Iraq.
In questo contesto, l’Iran ha creato uno scambio o borsa internazionale di energia, in competizione con il New York Mercantile Exchange (NYMEX) e l’International Petroleum Exchange (IPE) di Londra, borse petrolifere che entrambe operano usando il dollaro usamericano per le transazioni. Questa borsa di energia, chiamata Kish Oil Bourse, è stata ufficialmente inaugurata nell’agosto del 2011 sull’isola di Kish nel Golfo Persico. Le sue prime operazioni sono state effettuate utilizzando l’euro e il dirham degli Emirati.
Nella situazione iniziale di rivalità fra euro e dollaro statunitense, gli Iraniani volevano fare riferimento all’euro e creare un sistema di “petro-euro”, con la speranza che la competizione tra il dollaro usamericano e l’euro rendesse l’Unione Europea alleata dell’Iran, e la svincolasse dagli Stati Uniti.
Quando si sono generate tensioni politiche anche con l’UE, gli Iraniani si sono dimostrati tanto meno entusiasti del “petro-euro”. Teheran ha capito che l’Unione europea e i suoi dirigenti corrotti sono sottomessi agli interessi degli Stati Uniti. Così, comunque in misura minore, l’Iran ha cercato di allontanarsi anche dall’euro.
Inoltre, l’Iran ha allargato il proprio raggio di azione nell’abbandonare l’uso del dollaro statunitense e dell’euro, come politica nelle sue relazioni commerciali bilaterali.
Iran e India stanno trattando il pagamento in oro per il petrolio iraniano. Gli scambi commerciali fra Iran e Russia vengono condotti in rial iraniani e rubli russi, mentre il commercio iraniano con la Cina e con altri paesi asiatici viene effettuato utilizzando il renminbi (o yuan) cinese, il rial iraniano, lo yen giapponese, e altre valute non-dollaro e non-euro.
Mentre l’euro avrebbe potuto essere il grande vincitore in un “sistema a petro-euro”, i movimenti dell’Unione europea sono andati tutti in direzione contraria.
L’embargo petrolifero UE contro l’Iran è stato solo l’atto conclusivo del piantare i chiodi nella bara. A livello globale, sta emergendo un contesto che vede le transazioni commerciali eurasiatiche e internazionali al di fuori degli ombrelli del dollaro usamericano e dell’euro, il che comporta l’indebolimento di entrambe queste valute.
Il Parlamento iraniano sta ora adottando una legislazione che prevede il taglio delle esportazioni di petrolio ai membri dell’Unione europea che aderiranno al regime di sanzioni, fino a costringerli a revocare le sanzioni sul petrolio iraniano. La mossa iraniana sarà un duro colpo per l’euro, soprattutto perché l’Unione europea non avrà il tempo di prepararsi per i tagli energetici conseguenti.
Diverse sono le possibilità che potrebbero emergere.
Una di queste è che tutto ciò potrebbe far parte degli obiettivi strategici di Washington, che sta giocando alcune sue carte contro l’Unione europea.
Un’altra è che gli Stati Uniti e determinati membri dell’Unione europea stiano collaborando contro rivali economici strategici e contro altri mercati.
A chi giova? Gli obiettivi economici vanno ben oltre l’Iran…
La fine delle esportazioni di petrolio iraniano verso l’Unione europea e il declino dell’euro andranno a diretto beneficio degli Stati Uniti e del dollaro statunitense.
Ciò che l’Unione europea sta facendo è semplicemente indebolire se stessa e concedere al dollaro USA il sopravvento nella sua rivalità monetaria nei confronti dell’euro. Inoltre, dovesse collassare l’euro, il dollaro usamericano riempirà rapidamente gran parte del vuoto.
Nonostante il fatto che la Russia potrà beneficiare di prezzi del greggio più elevati e, come fornitrice, di un maggiore potere sulla sicurezza energetica dell’Unione europea, anche il Cremlino ha messo in guardia l’Unione europea, che sta lavorando contro i propri interessi e sta subordinando se stessa a Washington.
Molte ed importanti sono le questioni in gioco circa le conseguenze economiche derivate da un aumento dei prezzi del petrolio. L’Unione europea sarà in grado di resistere alla tempesta economica o al collasso della sua valuta?
Quello che provocherà l’embargo petrolifero dell’UE contro l’Iran sarà la destabilizzazione dell’euro e, a valanga, il deterioramento a livello globale delle economie extracomunitarie.
A questo proposito, Teheran ha denunciato che gli Stati Uniti mirano a danneggiare le economie rivali attraverso l’adozione delle sanzioni petrolifere UE contro l’Iran. All’interno di tale linea di pensiero, questa è la ragione per cui gli Stati Uniti stanno cercando di costringere i paesi asiatici, Cina, India, Corea del Sud e Giappone, a ridurre o tagliare di netto le importazioni di greggio dall’Iran.
Nell’ambito dell’Unione europea, saranno le economie più fragili e in difficoltà, come quelle della Grecia e della Spagna, che subiranno le dure conseguenze da questo embargo petrolifero.
Le raffinerie di petrolio nei paesi dell’Unione europea, che importano petrolio iraniano, dovranno trovare nuovi venditori come fonti e saranno costrette ad adeguare le loro operazioni.
Piero De Simone, uno dei dirigenti dell’Unione Petrolifera Italiana, ha avvertito che approssimativamente settanta raffinerie di petrolio nella UE potrebbero cessare le attività, e che i paesi asiatici potrebbero loro iniziare a vendere all’Unione europea petrolio iraniano raffinato, a scapito delle raffinerie e delle industrie petrolifere locali.
Nonostante le rivendicazioni politiche di sostegno all’embargo petrolifero contro l’Iran, nemmeno l’Arabia Saudita sarà in grado di colmare il vuoto delle esportazioni petrolifere iraniane verso l’Unione europea o altri mercati. Una carenza di forniture di greggio e i cambiamenti della produzione potrebbero avere effetti a spirale nell’ambito dell’Unione europea e sui costi di produzione industriale, dei trasporti, e sui prezzi di mercato.
La previsione è che si assisterà in buona sostanza ad un aggravamento della crisi in area euro, o Eurozona.
Inoltre, l’aumento dei prezzi di beni e servizi, che vanno dal cibo ai trasporti, non sarà limitato all’Unione europea, ma avrà ramificazioni globali. All’aumentare dei prezzi su scala globale, le economie in America Latina, Caraibi, Africa, Medio Oriente, e nei paesi dell’Asia e del Pacifico si troveranno ad affrontare nuove difficoltà, che il settore finanziario negli Stati Uniti e in molti dei suoi partner – tra cui alcuni membri dell’Unione europea – potrebbe capitalizzare attraverso l’acquisizione di alcuni settori e mercati.
Il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, come procuratori degli accordi di Bretton Woods per conto di Wall Street, potrebbero entrare nel mix e imporre più programmi di privatizzazione, tutti a vantaggio dei settori finanziari degli Stati Uniti e dei loro principali partner.
Inoltre, nel momento in cui l’Iran decidesse di vendere il 18% del suo petrolio, destinato ai membri dell’UE, ma che costoro non potranno più acquisire, ciò diverrà fattore di contrattazioni sottobanco, e quindi di divisioni, sempre a vantaggio degli interessi statunitensi.
I fantasmi dell’embargo petrolifero arabo del 1973: la Libia e l’Agenzia internazionale dell’energia
Mentre i paesi dell’Africa o del Pacifico non hanno riserve strategiche di petrolio e saranno alla mercè degli aumenti dei prezzi mondiali, gli Stati Uniti e l’Unione europea hanno lavorato e cercato di isolarsi strategicamente da questi scenari.
È qui che entra in scena l’Agenzia internazionale dell’energia (AIE). Per di più, anche le riserve di petrolio della Libia costituiscono un fattore che alimenta le ostilità e le politiche petrolifere che coinvolgono l’Iran.
L’AIE è stata creata dopo l’embargo petrolifero arabo del 1973. Come accennato in precedenza, si tratta di un’“ala strategica dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE).”
L’OCSE è un club di paesi che comprende Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania, Spagna, Italia, Belgio, Danimarca, Giappone, Canada, Corea del Sud, Turchia, Australia, Israele e Nuova Zelanda. Sono paesi che essenzialmente configurano i contorni del Blocco occidentale, costituito da alleati e satelliti degli Stati Uniti. A parte Israele, Cile, Estonia, Islanda, Slovenia e Messico, tutti i membri dell’OCSE sono anche membri dell’AIE.
Dalla sua creazione nel 1974, uno dei compiti della AIE è stato quello di immagazzinare riserve di petrolio, strategiche per i paesi OCSE.
Durante la guerra della NATO contro la Libia, l’AIE effettivamente ha aperto le sue riserve strategiche di petrolio per compensare il vuoto lasciato dalla mancanza di esportazioni di petrolio dalla Libia.
Le uniche altre due volte che questo è accaduto sono state nel 1991, quando Washington ha guidato una coalizione militare nella sua prima guerra contro l’Iraq, e nel 2005, quando l’uragano Katrina ha devastato gli Stati Uniti.
La guerra contro la Libia aveva scopi molteplici:
(1) impedire l’unità africana;
(2) espellere la Cina dall’Africa;
(3) controllare strategicamente importanti riserve di energia; e
(4) custodire fonti di petrolio nello scenario di conflitti mossi dagli Stati Uniti contro la Siria e l’Iran.
Quello che la guerra della NATO in Libia ha realizzato è l’assicurarsi la produzione di petrolio libico, perché esisteva la possibilità che la “Jamahiriya Araba di Libia” governata dal colonnello Muammar Gheddafi sospendesse le vendite di petrolio verso l’Unione europea, a sostegno della Siria o dell’Iran in possibili conflitti con gli Stati Uniti, la NATO e Israele.
Inoltre, è interessante notare che alle Nazioni Unite una delle figure libiche che hanno reso possibile la guerra contro la Libia è stato Sliman Bouchuiguir, il presidente della Lega libica per i diritti umani (LLHR) e attuale ambasciatore libico in Svizzera, che ha lavorato per formulare una strategia in previsione di un uso del petrolio come arma strategica per impedire decisamente il ripetersi della crisi petrolifera del 1973 contro gli Stati Uniti e i loro alleati.
A parte l’Iran, anche i Siriani sono stati una fonte di importazioni di petrolio per l’Unione europea. Come per l’Iran, anche l’UE ha imposto alla Siria il blocco delle esportazioni del greggio attraverso un regime di sanzioni progettato dal governo usamericano.
Con il petrolio iraniano e siriano non più riforniti alla UE, aumenta il valore strategico del petrolio libico. A questo proposito, i rapporti circa il dispiegamento di migliaia di soldati degli Stati Uniti sui giacimenti di petrolio libico può essere analizzato come un movimento di truppe coordinato o vincolato al montare delle ostilità degli Stati Uniti e dell’Unione europea nei confronti della Siria e dell’Iran.
Lo stornare verso la UE la direzione delle spedizioni di petrolio libico che erano destinate alla Cina, può anche questo far parte di tale strategia.
La guerra psicologica
In realtà, il regime di sanzioni progettato dal governo degli Stati Uniti contro l’Iran è arrivato al limite del possibile. Tutti gli interventi riguardanti l’isolamento iraniano sono bravate e distanti dalla realtà delle attuali relazioni e trattative commerciali internazionali.
Brasile, Russia, Cina, India, Iraq, Kazakistan, Venezuela e altri paesi dell’area post-sovietica, dell’Asia, Africa e America Latina hanno tutti rifiutato di aderire alle sanzioni contro l’economia iraniana.
L’ embargo petrolifero dell’Unione Europea, associato alle sanzioni contro l’Iran in altri settori, presenta chiare implicazioni psicologiche.
L’Iran e la Siria, sua alleata, devono affrontare una guerra multi-dimensionale che presenta implicazioni di natura economica, sotto azioni segrete, diplomatica, mediatica e psicologica.
La guerra psicologica, che coinvolge l’azione dei mezzi di informazione di massa come strumento di politica estera e bellico, costituisce un efficace arnese di propaganda in favore degli Stati Uniti, considerato anche il suo basso costo.
Però, la guerra psicologica può essere combattuta su entrambi i lati.
Gran parte della potenza degli Stati Uniti è psicologica e legata alla paura. Come la geografia del Golfo Persico, il tempo è dalla parte dell’Iran e sta lavorando contro gli Stati Uniti.
Se l’Iran continua il suo corso attuale, e procede imperterrito nonostante le sanzioni, questo contribuirà a rompere la soglia critica della tensione psicologica, che in tutto il mondo porta a scoraggiare i paesi dall’affrontare e contrastare gli Stati Uniti.
Dovessero molti paesi continuare nel loro rifiuto a prostrasi all’amministrazione Obama con riferimento all’imposizione di sanzioni contro l’Iran, questo darà un duro colpo al prestigio e al potere degli Stati Uniti, con pesanti conseguenze economiche e finanziarie.
In buona sostanza, alla fine della storia, l’embargo petrolifero UE farà male all’Unione europea invece che all’Iran. Nel lungo termine, potrebbe risultare dannoso anche per gli Stati Uniti .
Strutturalmente, gli effetti dell’embargo petrolifero UE porteranno l’UE ad ulteriormente radicarsi nell’orbita di Washington, ma questi effetti catalizzeranno una crescente opposizione sociale a Washington, che alla fine si manifesterà in ambito politico ed economico.