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UNICREDIT – INTESA SAN PAOLO…strategie opposte
A differenza di UNICREDIT che voleva arrivare ad una dimensione global-europea e costretta ad una specie di ritirata a causa di fattori non proprio contingenti dal sogno che fu di Alessandro Profumo suo precedente CEO…
***…suscita molti più interrogativi invece la nuova propensione di Intesa verso una politica espansiva all’estero, a mio parere perché le opportunità sono sicuramente più rarefatte e in secondo luogo perché Intesa è tutto tranne che un predatore attrezzato per acquisizioni estere. Forse lo è il suo nuovo CEO, ma non la struttura portante del management attuale. Primo aspetto: quali sono i mercati in cui Intesa può trovare spazi di crescita? Credo che vada detto che in questo momento sono relativamente pochi i paesi con economie che prospettano tassi di crescita del risparmio e del
tessuto economico. La Turchia, ad esempio, è uno di questi ma ha un sistema bancario molto sviluppato e qualsiasi acquisizione oltre a scontrarsi con l’appetito potenziale di concorrenti forse più ricchi e attrezzati, comporterebbe un costo elevato per l’ingresso. Non a caso è uno dei mercati che sta dando molte soddisfazioni a Ghizzoni. Tralasciando Cina e India dove la presenza di attori locali e delle maggiori banche internazionali renderebbe l’espansione una scelta di nicchia (aiutare le imprese italiane probabilmente non fa reggere un modello di business), l’Europa Centrale ha già perso parte del suo appeal, il Sudamerica (Brasile?) è poco avvicinabile e il sud est asiatico (Vietnam) appare veramente troppo distante dalla cultura sud europea. In Africa potrebbe essere interessante guardare al mediterraneo, che sta purtroppo vivendo una stagione di instabilità politica che non aiuta le scelte di investimento, e a sud il Sudafrica non sembra registrare crescite economiche elevate.
Infine sotto il profilo strategico è veramente difficile dire oggi cosa una banca italiana possa apportare in un mercato estero in materia di tecnologia, modelli di servizio, innovazione che sia tale da consentire una rapida creazione o emersione di un potenziale altrimenti nascosto. Con dispiacere, ma sono più portato a pensare che per ragioni culturali (tra cui la conoscenza poco diffusa della lingua inglese), settoriali (le banche italiane non sono mai state campioni di efficienza) e di ritardo rispetto ai gruppi multinazionali bancari (sono cresciuto professionalmente in uno di essi) le banche italiane abbiano troppe poche carte per giocare una partita globale. Ci ha provato Unicredit, ma facendo leva su una struttura anche tedesca e soprattutto sulla presenza storica e diffusa di Bank Austria nel centro europa, eppure oggi sembra avere ripensamenti e ferite da leccare.
Ricordo (vedi la figura) che per ora la presenza di Intesa è concentrata quasi totalmente nel Centro Europa, motivo per cui se deve trovare prati verdi di crescita deve necessariamente andare a giocare la partita altrove, rischiando di arrivare tardi, trovare gli avanzi, a meno che voglia o possa sfruttare la debolezza di qualche gruppo bancario che è costretto a svendere le sue attività estere. Anche in questo caso non può sfuggire che con tutti i problemi che affliggono le banche inglesi, ad esempio, sia Barclays che HSBC stanno chiudendo attività in Europa (a bassa redditività) proprio per finanziare i paesi in cui vedono spazi di crescita economica.
Allo stato attuale l’espansione estera di Intesa auspicata dai vertici e dalle fondazioni sembra più wishful thinking e un alibi alla scelta del nuovo CEO che non una concreta possibilità, se per concreta si intende non aprire altre 10 filiali all’estero ma modificare radicalmente la composizione dei ricavi del gruppo bancario. Il tempo dirà chi aveva ragione, ma ritengo che ci siano ancora ampi spazi di creazione di valore anche nel mercato domestico se si abbandona la convinzione che la dimensione (n° di sportelli, n° di clienti, n° di conti correnti…) sia la ragione di essere e si pongono interrogativi e obiettivi diversi sul come erogare un servizio migliore agli italiani.*** fonte
Per chi volesse leggere l’articolo su Unicredit andare QUI