Investire oggi e la bolla dei derivati: 30 anni d’errori macroeconomici

Scritto il alle 10:06 da carloscalzotto@finanza

La bolla dei derivati: la logica conseguenza di 30 anni di errori macroeconomici

 

 

La bolla dei derivati e dei titoli tossici, che nata negli Usa e dilagata poi in Europa
e nel mondo ha innescato la Grande Crisi, e le politiche macroeconomiche imposte negli ultimi 30 anni, identificabili in somma sintesi nelle teorie del “Washington Consensus”, sembrerebbero fenomeni distinti e non correlati.
Il noto economista Nino Galloni, in un incontro de

“la Finanza in Piazza” ha proposto un’interpretazione differente, spiegando come e perché i nuovi e sempre più sofisticati strumenti finanziari abbiano avuto da un lato un enorme impatto macroeconomico sull’intero sistema e dall’altro sono a loro volta un effetto di scelte macroeconomiche totalmente sbagliate.
Nella ricostruzione operata dal Prof. Galloni la svolta inizia negli anni 80 quando, a seguito dell’imporsi in USA e in tutto l’Occidente di un nuovo modello economico ultraliberista impersonato da Regan e dalla Thatcher, si precarizza e flessibilizza il lavoro e se ne abbassa il valore monetario. Contemporaneamente la scelta di una globalizzazione senza vincoli né regole sposta un gran numero di posti di lavoro nei Paesi che, grazie a costi bassissimi della mano d’opera e a assenza di leggi che tutelino lavoro e ambiente, risultano essere più competitivi.
Per inciso, come Galloni afferma, il sistema é pensato per premiare il produttore peggiore, ossia quello che produce in assenza di vincoli di tipo normativo.
Tornando all’analisi storica di Galloni vediamo dunque che, a seguito della precarizzazione e delocalizzazione dei processi produttivi, in Occidente i redditi da lavoro crollano del 40%, tuttavia gli effetti di questo crollo vengono tamponati dagli altissimi rendimenti che i titoli, soprattutto pubblici, hanno in quegli anni.
Dunque negli anni 80 le famiglie, a seguito della contrazione dei loro redditi da lavoro, mettono i loro risparmi nei titoli pubblici ottenendo alti rendimenti che permettono da un lato il funzionamento della globalizzazione, consentendo che i beni prodotti nei Paesi emergenti possano essere acquistati nonostante la contrazione del reddito da lavoro, dall’altro nascondono gli effetti dell’impoverimento qualitativo (minori paghe) e quantitativo (minor numero di occupati) del lavoro. source
Arriviamo così agli anni 90 in cui crollano i rendimenti dei titoli pubblici e, di conseguenza, l’enorme massa del risparmio si sposta sui titoli privati. Si creano dunque le condizioni per una finanziarizzazione dell’economia che sempre di più produce ricchezza “dal nulla”; attraverso una continua e crescente massa di operazioni finanziarie sempre più complesse. Il gioco funziona fino a quando il mercato borsistico sale, proprio come nelle catene di Sant’Antonio, ma quando nel 2001 la borsa crolla i limiti di questo sistema appaiono evidenti.
A questo punto (siamo nei primi anni del nuovo millennio) i grandi soggetti finanziari (Galloni sottolinea come non si possa più parlare di semplici banche in quanto, a seguito della cancellazione del Glass Steagall Act le banche come le conoscevamo non esistono più) scommettono su una ripresa prossima e lanciano strumenti altamente speculativi e enormemente rischiosi, i cosiddetti titoli tossici, convinti che una volta che l’economia reale avesse ricomincito a tirare sarebbe stato possibile riassorbire questi titoli.
Negli anni successivi tuttavia la ripresa non si manifesta, come peraltro era prevedibile, avendo sostanzialmente neutralizzato tutte le politiche economiche keynesiane per lo sviluppo, e nel 2007, come sappiamo, la bolla dei derivati esplode violentemente, mostrando che dietro quella massa speculativa non c’era più nessuna attività economica reale che la garantisse, e ha inizio così la crisi economica che dura ancora oggi.
Di seguito il video completo dell’intervento del Prof. Galloni….

QUI il video

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