Per l’Economic Freedom of the World i paesi economicamente più liberi risultano Hong Kong, Singapore, la Nuova Zelanda e la Svizzera, mentre l’Italia si colloca in una desolante ottantaduesima posizione nella graduatoria complessiva, giusto sotto Tunisia, Grecia e Paraguay.

Scritto il alle 09:47 da carloscalzotto@finanza

 

E’ uscita in questi giorni l’edizione 2012 di “Economic Freedom of the World”, il rapporto sulla libertà economica pubblicato ogni anno dal think-tank liberale Cato Institute.

Lo studio misura i paesi di tutto il mondo sulla base di una quarantina di indicatori, suddivisi in cinque categorie: peso dello Stato, sistema legale, politiche monetarie, libertà di commercio internazionale e regolamentazioni.

I dati si riferiscono al 2010 ed i paesi economicamente più liberi risultano Hong Kong, Singapore, la Nuova Zelanda e la Svizzera, mentre l’Italia si colloca in una desolante ottantaduesima posizione nella graduatoria complessiva, giusto sotto Tunisia, Grecia e Paraguay.

Più in dettaglio, l’Italia va decisamente male per quanto riguarda la spesa pubblica, la pressione fiscale, le regole su assunzioni e licenziamenti, il ruolo della contrattazione collettiva e la burocrazia. Abbiamo brutti voti anche per quanto riguarda l’infrastruttura legale, in particolare per quanto riguarda la protezione dei diritti di proprietà, l’attuazione dei contratti e l’imparzialità dei tribunali.

A tirarci un po’ su è solo il capitolo sulle politiche monetarie, dato che i vincoli imposti dalla presenza dell’Euro hanno determinato – almeno finora – bassa inflazione ed un’espansione monetaria contenuta.

 

Nell’ultimo decennio l’Italia ha accusato una diminuzione della libertà di mercato in termini assoluti, ma quello che davvero sconcerta è la regressione in termini relativi, cioè in relazione agli altri paesi d’Europa e del mondo.

Rispetto al rapporto precedente, ad esempio, l’Italia ha perso dodici posizioni e ciò si inserisce in una tendenza monotòna che dura da un decennio. E’ significativo, infatti, che nel rapporto del 2001 l’Italia figurasse ancora ad un decoroso ventiquattresimo posto.

 

Si tratta di dati perfettamente in linea con quelli che emergono da altre ricerche – come l’ “Index of Economic Freedom” redatto dall’Heritage Foundation e dal Wall Street Journal – e che danno la cifra del profondo fallimento del decennio berlusconiano, rispetto alle speranze e le aspettative che a suo tempo il centro-destra aveva generato tra coloro che si riconoscono in una prospettiva politica liberale.

Purtroppo, mentre altri paesi hanno liberalizzato, la fase politica che noi abbiamo vissuto negli ultimi anni è stata di conservazione e di incancrenimento dello statalismo congenito di questo paese.

 

L’Italia, peraltro, non è l’unico paese che ha sofferto negli ultimi anni un decadimento in termini di ranking. Per molti versi è clamoroso, ad esempio, il diciottesimo posto degli Stati Uniti che erano la terza economia più libera al mondo solo una dozzina di anni fa. Purtroppo, tra il conservatorismo compassionevole di Bush e l’Obamomics, l’America ha lasciato per strada punti un po’ in tutti gli indicatori – e certo non ha aiutato la politica di “guerra permanente” portata avanti sia dai Repubblicani che dai Democratici.

 

Di questo passo, non manca molto per assistere ad uno storico sorpasso, con gli USA scavalcati in termini di libertà economica da un paese come la Svezia, storicamente considerato il paradigma della socialdemocrazia, ma che in realtà negli ultimi venti anni ha conosciuto importanti riforme in senso liberale. Insomma, una tendenza che dovrebbe far riflettere su come le schematizzazioni e gli stereotipi politici novecenteschi siano sempre più inadeguati per leggere e per comprendere il mondo di oggi.

Ci avevano fatto pensare al berlusconismo come alla versione italiana del thatcherismo ed invece scopriamo che il governo Berlusconi è stato il meno liberista d’Europa. Ci hanno insegnato che il capitalismo era l’America ed invece scopriamo che il capitalismo sono magari la Finlandia e l’Estonia…

 

In fondo, la vera utilità di strumenti quali “Economic Freedom of the World” o l’ “Index of Economic Freedom” è proprio questa – esaminare il quadro della libertà economica nei vari paesi del mondo sulla base di criteri il più possibile oggettivi, consentendo di elaborare riflessioni che possano andare oltre la propaganda politica interna, i clichés e la tradizione orale.

di Marco Faraci

 

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