Cell Therapeutics: mettiamo Pacritinib in prospettiva (prima parte)

Scritto il alle 12:41 da cerealkiller

Ok, oggi ci occupiamo di Pacritinib, farmaco nuovo di zecca di Cell Therapeutics (CTIC) che con il recente accordo si trova ad avere in casa 2 farmaci in fase 3, ossia Opaxio e Pixuvri e due pronti ad iniziarle, Tosedostat ed appunto Pacritinib. Oggi confrontiamo i dati disponibili del farmaco con altri della stessa categoria, JAK2 inibitori per il trattamento della mielofibrosi.

Il buon Bianco avrà fatto l’affare? Sarete voi a giudicarlo, oggi cominciamo a parlare di efficacia, poi ci occuperemo della sicurezza.

La mielofibrosi, senza entrare troppo nel dettaglio, è una rara malattia a causa della quale parte del midollo osseo viene sostituito da fibromi. La malattia può insorgere tal quale o essere lo sviluppo di un’altra malattia mieloproliferativa come la Policitemia Vera (da qui in poi, visto che coi nomi si farebbe un casino la chiamerò semplicemente PV) ed in questo caso si parla di Milelofibrosi post PV (diciamo MPV) o come la Tormbocitemia Essenziale (ET, quindi mielofibrosi post ET). La sopravvivenza media per questa malattia è di 3-5 anni, cosa parecchio importante da tenere a mente per il discorso che farò oggi. I nomi, non hanno importanza, ricordatevi le sigle.

L’interesse verso i farmaci che inibiscono la Janus chinasi 2 nasce al momento della scoperta di una mutazione presente nella stragrande maggioranza di pazienti affetti da MF, ossia la JAK2 V617F , che comporta una sregolata ed eccessiva attività della JAK2, il che causa la malattia.

Il ruolo degli JAK inibitori.

Jakafi di Incyte/Novartis è l’unico inibitore della JAK approvato da FDA ed avendo ricevuto opinione positiva dal CHMP, lo sarà presto anche in Europa. L’approvazione si basa su 2 studi di fase 3 (chiamati COMFORT 1 & 2) in pazienti con MF mentre attualmente il farmaco è in sperimentazione su pazienti con PV (il cui nome è RESPONSE).

In due studi condotti su 2000 ed oltre pazienti è emerso che l’aspettativa di vita per pazienti con PV ed ET è risultata essere molto simile a quella di persone sane, così come la percentuale di trasformazioni in leucemia (rischio presente nel caso di queste malattie). La stessa cosa non può essere detta per pazienti affetti da MF che, come scrivevo prima, hanno un’aspettativa di vita di 3-5 anni.

Esistono quindi due necessità differenti, a seconda di quale tipo di malattia un paziente abbia. Nel caso della MF Jakafi rappresenta un progresso straordinario per una esigenza medica insoddisfatta, nel caso della PV e della ET, nella bilancia rischio beneficio che va sempre utilizzata quando si parla di nuovi farmaci, deve pendere marcatamente a favore del beneficio, visto quanto detto sull’aspettativa di vita.

Per quanto riguarda gli inibitori della JAK, occorre precisare che il loro impiego non serve, finora, a curare la malattia, ma i suoi sintomi più gravi, come l’ingrossamento della milza, il prurito, i dolori addominali oltre ad altri che diminuiscono la qualità della vita, oltre ad inasprire la prognosi.

Si perché, di potenzialmente curativo, c’è solo il trapianto di midollo allogenico, e non sempre basta nemmeno quello.

Vediamo cosa sono in grado di fare questi farmaci e come Pacritinib si piazza nei loro confronti.

Detto che i farmaci in questione sono palliativi, vediamo come si comportano con la misura dei benefici sulla qualità della vita, l’impatto sull’anemia, sulla diminuzione dell’ingrossamento della milza, sulla gestione del prurito e sulla sopravvivenza di cellule mutate JAK2 V617F.

Trattamento della splenomegalia.

Nei pazienti con mielofibrosi le dimensioni della milza raggiungono volumi spaventosamente (splenomegalia) elevati fino a dieci e più volte superiori al normale in molti casi e trattare questo sintomo significa fare già molto.

La misura di come la riduzione avvenga si fa in due modi, con la palpazione della milza o misurando il volume con la risonanza magnetica (MRI). Generalmente si considera una diminuzione alla palpazione del 50% pari ad un calo del 35% misurato con MRI e si parla di percentuale di risposta, intesa come la percentuale di pazienti trattati che raggiungano una diminuzione del 50% alla palpazione o del 35% alla MRI.

Vediamo come si comportano gli JAK2 inibitori in fase di sperimentazione in questo senso.

Jakafi nelle due fasi 3 ha fatto registrare un 29% nel COMFORT 2 ed un 42% nel COMFORT 1. Va detto che il COMFORT 1 è stato condotto con randomizzazione, in doppio cieco su 309 pazienti ha visto arruolati pazienti che già avevano subito trattamenti precedenti, refrattari ad altre terapie e con pochissime altre alternative. La durata della risposta (per chi ha conseguito una riduzione del 35% con MRI) è durata più di 48 settimane.

Pacritinib ha fatto segnare in fase 2 da 34 pazienti senza braccio di controllo una riduzione nel 32% dei pazienti valutati con MRI, valore leggermente superiore al COMFORT 2 e nettamente inferiore al COMFORT 1. Non abbiamo ancora dati relativi alla durata della risposta ma sappiamo che la riduzione della splenomegalia è avvenuta nell’88% dei pazienti contro la quasi totalità del COMFORT 1, come si può vedere dall’immagine qui sotto:

Valori del tutto simili arrivano anche da CYT 387 di YM Biosciences, altro JAK inibitore con un profilo del tutto unico del quale ho già parlato in passato. Anche questo farmaco è in attesa di iniziare una fase 3 nella stessa indicazione di Pacritinib e Jakafi basandosi sui dati di una fase 2 i cui dati sono stati aggiornati allo scorso ASCO prima e ad ASH 2011 dopo.

CYT 387, su 142 pazienti valutabili per quanto riguarda la risposta del volume splenico, ha ottenuto le seguenti riduzioni alla palpazione:

La percentuale di risposte >50% nella palpazione è stata del 49% e fra gli 11 pazienti valutabili sia per la palpazione che per risonanza magnetica la percentuale diventa straordinariamente elevata: il 64% misurato con MRI ed il 45% con palpazione.

Anemia e sintomi costituzionali.

Una delle caratteristiche comuni degli affetti da MF è l’anemia, problema che con l’utilizzo di JAK2 inibitori può essere esacerbato. Ciò che rende CYT387 diverso dagli altri farmaci della sua categoria è l’impatto su questo aspetto, in particolare sulla capacità di rendere alcuni pazienti indipendenti dalle trasfusioni alle quali sono costretti a sottoporsi. Si consideri che la percentuale di pazienti trasfusione dipendenti varia a seconda delle fonti da un minimo del 30% fino al 50%, è evidente quindi che avere un farmaco che riesca a sovvertire il problema o comunque a non aggravarlo renderebbe un vantaggio enorme alla compagnia che lo commercializza.

I dati di CYT387 da questo punto di vista sono irraggiungibili non solo da Jakafi e Pacritinib, ma da tutti gli JAK inibitori attualmente in fase sperimentale.

Considerando che il dosaggio che verrà presumibilmente scelto per la fase 3 sarà quello da 300 mg e che la durata delle risposte si è dimostrata significativa, CYT387 potrebbe essere veramente unico nel suo genere.

Pacritinib, nei pochi pazienti trattati, ha evidenziato due risposte anemiche positive ed in un caso anche la trasformazione di un paziente a trasfusione indipendente mentre Jakafi ha proprio nell’anemia uno dei suoi talloni d’Achille.Va notato che dai dati emersi dal COMFORT 1 il picco di anemia di grado 3-4 (elevato quindi) si è avuto fra l’ottava e la dodicesima settimana di somministrazione, per poi raggiungere livelli simili a quelli del gruppo placebo e che a quanto sembra l’anemia non influisce sull’efficacia del farmaco.

Dal punto di vista del miglioramento dei sintomi costituzionali Pacritinib se la cava egregiamente e per i pochi dati che sono riuscito a trovare al riguardo posso dire che sia in linea con quelli di altri composti simili.

Considerando che circa due terzi dei pazienti affetti da mielofibrosi manifestano cachessia, sudori notturni, febbre, dolori ossei e stanchezza anche in assenza di sforzi, il dato è significativo, visto che aumentare la QoL (qualità della vita) si riflette spesso in una migliore risposta alla malattia, persino in termini di sopravvivenza.

Perché S*Bio ha venduto & Onyx non l’ha tenuto.

Si sta molto speculando riguardo al fatto che se Pacritinib fosse veramente un grande farmaco Onyx (ONXX) non sarebbe uscita dall’accordo che la legava a S*Bio.

Onyx ha una pipeline come poche nel campo delle mid/small cap farmaceutiche, sia come qualità che come potenzialità di vendite, quindi un farmaco come Pacritinib può essere meno interessante per loro piuttosto che per Cell Therapeutics, che al contrario sta puntando su farmaci con minor mercato ed indicazioni più di nicchia.

Gli JAK inibitori sono una classe di farmaci interessantissima e presumibilmente avranno davanti a loro un futuro di successi, dal punto di vista clinico. Ma a pensarci bene, Jakafi è passato dai primi studi all’approvazione in un lasso di tempo talmente breve che non può dare ancora risultati apprezzabili in prospettiva. In altre parole non sappiamo cosa accadrà ai pazienti trattati con Jakafi fra uno o due anni. I dati sulla sopravvivenza sono contraddittori e non ci aiutano, il fatto che Jakafi sia il primo farmaco approvato fra gli JAK inibitori nemmeno.

Gli studi dimostrano che seguire la strada di bersagliare il pathway JAK/STAT funziona per quanto riguarda i sintomi, quindi anche per Pacritinib, ma probabilmente l’accordo stipulato inizialmente con S*Bio è stato considerato troppo oneroso per le prospettive del farmaco, che con molta probabilità troverà spazio solo dove Jakafi mostrerà di essere meno efficace.Considerando poi il discorso fatto inizialmente, cioè che per la PV e la ET i risultati relativi all’efficacia devono essere ancora più marcati rispetto a quelli della MF, Pacritinib credo che avrebbe dei problemi. Senza l’estensione di mercato alla PV e la ET, buona parte del valore del farmaco se ne andrebbe in fumo.

Il perché invece S*Bio abbia deciso di vendere può essere parzialmente spiegato andando a dare uno sguardo alla pipeline:

L’accordo con Onyx così come inizialmente stipulato prevedeva che a fronte della licenza per il programma di sviluppo degli JAK2 inibitori SB1518, cioè Pacritinib, ed SB1578 S*Bio avrebbe potuto incassare, fra anticipo e milestones, 550 milioni di dollari. Di per se non è una cifra elevatissima, se si pensa che Galapagos NV per il solo inibitore di JAK1 GLPG0634 ha strappato ad Abbott un accordo da 1350 milioni di dollari, quasi il triplo per un solo farmaco.

550 milioni però sono molti soldi per una piccola compagnia che vedendo scomparire tale accordo può aver fatto la scelta di finanziare altri progetti con la vendita di un programma che da sola non potrebbe portare avanti. Questa scelta avrebbe particolarmente senso se ci fosse qualcosa dietro che valesse la pena di far avanzare in fase clinica più avanzata.

S*Bio ha 3 composti molto interessanti che, manco a farlo apposta, nel trattamento della mielofibrosi hanno tutti un ragionevole diritto di cittadinanza. Inibire la via di mTOR/PI3K assieme a quella della JAK2 potrebbe portare numerosi benefici. Vi state chiedendo quale JAK2 potrebbero impiegare quelli di S*Bio? L’ultimo farmaco della pipeline, indicato come CDK/FL3 inibitore… inibisce anche la JAK2.

Curiosamente, anche Novartis potrebbe portare avanti una simile sperimentazione, avendo in casa sia Jakafi che BEZ235, che è appunto un mTOR/PI3K inibitore così come Sanofi, che ha un inibitore di JAK2 in fase 3 ed un mTOR/PI3K inibitore peìreso in licenza da Exelixis (EXEL, tanto per cambiare).

A dirla tutta, se Sanofi non ha terminato il rapporto con Exelixis, che io sappia sono solo queste le compagnie a poter vantare una combinazione di questo genere…

 

 

 

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